In occasione del Giorno del Ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, molti servizi giornalistici sono stati dedicati all’argomento dalla stampa tradizionale, televisiva e online. Relativamente all’esodo vero e proprio, che ha coinvolto circa 300 mila persone, molta attenzione è stata dedicata alla trasmigrazione interna. Cioè dall’Istria, Fiume e la Dalmazia, all’Italia, ormai privata di quelle terre con l’annessione alla Jugoslavia, in base al Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947.
Tra il 1945 e il 1960 circa 92mila giuliani sono emigrati oltre oceano, e precisamente in Australia, Stati Uniti, Canada, Argentina, Uruguay, Brasile, Venezuela. E in misura minore in Sudafrica e Gran Bretagna.
Un libro che racconta l’esodo nel mondo
Ne parla ora il libro scritto da Rosanna Turcinovich Giuricin Esuli due volte – Dalle proprie case, dalla propria patria, edito dalla Oltre Edizioni. Un saggio introduttivo dello storico triestino Roberto Spazzali introduce al fenomeno sul quale ha svolto una grande ricerca che ha interessato più in generale le partenze da Trieste a bordo delle navi Saturnia e Vulcania. Ma anche a bordo della nave Toscana, già protagonista dei drammatici viaggi da Pola occupata, e che hanno interessato, oltre ai giuliano-dalmati, anche rifugiati provenienti dall’est europeo. Jugoslavi (27%), russi (28%) e i rimanenti costituiti da ucraini, ungheresi, cecoslovacchi, rumeni, greci, bulgari, tedeschi.
L’organizzazione fu affidata all’IRO, l’International Refugee Organization, che agiva sotto l’egida delle Nazioni Unite. Altre migrazioni furono coordinate dal CIME – Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee (Provisional Intergovernmental Committee for the Movement of Migrant from Europe). In conclusione, tra il 1947 e il 1951 l’IRO Area Italia “gestì complessivamente 1.619.008 rifugiati, assicurando l’emigrazione in un nuovo Stato a 1.038.750 persone; quasi mezzo milione fu rimpatriato o non trovò insediamento”. Il CIME, a sua volta, garantì l’emigrazione assistita a 1.230.042 persone, di cui 24.659 transitati per Trieste.
Ovviamente, il saggio di Roberto Spazzali dà, in merito, ampie e dettagliate informazioni che ben integrano il reportage di Rosanna Turcinovich Giuricin, incentrato in particolare sul Canada. Lì annualmente si svolgono raduni nel corso dei quali si ritrovano, provenienti da tutti i Paesi oltre oceano, gli esuli istriani, fiumani e dalmati, e loro figli, che hanno saputo mantenere un collegamento tra loro, così da non disperdere il patrimonio di cultura e tradizioni che gli esuli si sono portati dietro.
La testimonianza di Maria Zuccon Marchionne, mamma di Sergio, emigrata in Canada
Tante, come abbiamo detto, le storie che l’autrice racconta attraverso la viva voce dei partecipanti. È interessantissimo leggerle tutte, ma qui ne scegliamo solo una significativa, quella di Maria Zuccon, madre di Sergio Marchionne. L’uomo che per molti anni è stato lo straordinario manager della Fiat.
Nata a Carnizza, non lontano da Pola, ha avuto la sventura di avere il proprio padre – il nonno di Marchionne – e il fratello, infoibati. “La famiglia gestiva un grande emporio nella piazza principale della piccola località” racconta l’autrice “che forniva anche Castelnuovo ed i villaggi circostanti dove abitavano numerose famiglie dei minatori” delle vicine miniere di Arsia e Albona. A sua volta la mamma di Sergio Marchionne (il manager al momento dell’intervista era ancora in vita) racconta alla Turcinovich.
“Nel 1943, dopo l’8 settembre vennero ad arrestare mio padre. Non era gente del posto, anche se i mandanti, chissà… Mio fratello, che era militare di leva, giunse a casa proprio in quei giorni e andò a cercare notizie di nostro padre. Non fecero ritorno e di loro non si seppe più nulla, mai più… Quanto dolore, che strazio per i parenti. Noi tre donne di famiglia, lasciammo Canizza e ci rifugiammo nella casa del nonno, in campagna. Furono anni difficili. Dall’emporio venne portato via tutto, sequestrato dal potere popolare. Si fece addirittura un processo sulla pubblica piazza affidato ad un funzionario che non avevamo mai visto prima, mandato dai partigiani jugoslavi…”
Sergio Marchionne all’inaugurazione di una lapide a Torino
In ricordo del nonno e dello zio, anni dopo, a Torino, Sergio Marchionne, a sorpresa si presentò alla inaugurazione di una lapide in memoria delle vittime delle foibe. Prendendo il microfono portò a tutti il saluto della mamma, da Toronto. La famiglia si era trasferita in Canada nel 1966. Il padre Concezio, era carabiniere, e aveva sposato la madre nell’aprile del 1947, per poi fuggire dall’ Istria occupata e trasferirsi a Roma e quindi a Chieti dove nacquero Sergio e la sorella Luciana.
La signora Maria racconta poi come, anni dopo, tornò in Istria, al suo paese dove era rimasto a vivere il fratello che non aveva voluto abbandonare la madre “che mai si sarebbe spostata da quei luoghi”, regalando a Sergio, così, d’allora, indimenticabili estati istriane…
Naturalmente, molti gli esuli e i loro figli, come Sergio Marchionne, insediatisi nei paesi di provenienza, hanno poi contratto matrimoni misti. Matrimoni dai quali sono nati figli che hanno assimilato, com’è accaduto in Italia, la lingua e la cultura del posto.
Diego Zandel
Fonte: L’incontro – 07/03/2022