Scomoda a due regimi totalitari. Per quello fascista era troppo “asburgica”; per quello comunista invece era di matrice “antislava” e troppo “borghese”. Parliamo dell’aquila bicipite, il plurisecolare simbolo di Fiume, che dalla Torre civica scrutava torvamente l’Oriente. Il maestoso volatile era stato posizionato per la prima volta sulla struttura della torre il 1.mo luglio del 1906 su iniziativa delle donne fiumane, in occasione della festa di San Vito, patrono della città. Il 4 novembre del 1919, due giovani legionari, Guglielmo Barbieri e Alberto Tappari, privarono l’aquila fiumana di una delle due teste. A novantatré anni di distanza ricordiamo lo scempio cui fu sottoposto all’epoca, ma anche in seguito, il simbolo per antonomasia del particolarismo fiumano. Vediamo che cosa ne scrissero i giornali locali.
Il quotidiano “La Vedetta d’Italia” del 6 novembre 1919, titolando “Una testa di meno”, ripercorre i fatti che spinsero i due legionari di Gabriele D’Annunzio a decapitare una testa dell’aquila. Il rapace a due teste rievocava troppo il simbolo del potere asburgico. Un’aquila con una testa sola, secondo gli Arditi, rimandava invece all’Italia, rispettivamente alla Roma imperiale.
“È nota la proposta – scriveva il giornalista de “La Vedetta” –, messa ai voti dal Comandante al cospetto dell’immensa folla di elettori convenuti al Teatro Verdi, di tagliare una delle due teste che l’aquila bicipite, sullo stemma fiumano, ostenta con fastidiosa burbanza austriaca. La proposta fu accolta, allora con una selva unanime di applausi accompagnati da un coro di approvazioni. Da quel giorno molti dei nostri giovani, passando sotto la Torre civica, guardavano in su, verso l’aquila bicipite che sovrasta ad ali spianate il culmine della Torre, e dicevano scherzosamente: ‘Saria ora de meterla a posto e farla diventar romana, quell’aquila austriaca!’”.
“Senonché a semplificare la testa bicipite e fare dell’apparenza austriaca un simbolo puramente e semplicemente romano, occorreva il benestare delle autorità comunali, o un deciso sì del Consiglio Nazionale. Due giovani impazienti, stanchi di attender un’autorizzazione qualunque, vollero ieri procedere di ‘motu proprio’ alla decapitazione: e arrampicatisi sino all’aquila – col rischio di precipitare giù ad ogni istante – si diedero pieni di ardore a segare il collo a una delle due teste. Naturalmente una gran folla di cittadini si radunò tosto sul Corso a guardare incantata, lassù, verso i due temerari che lavoravano proprio di lena. La testa finalmente si staccò e sul tronco fu rizzato il tricolore italiano, che sventolò tra gli applausi degli spettatori. Noi riteniamo che l’aquila tutta intera doveva venir levata di là, e sostituita, con maggior senso di opportunità con un’aquila romana”.
Il cronista della “Vedetta” ritenne di dover interpretare l’opinione pubblica in questo modo: “Si poteva evitare l’inutile mutilazione di un monumento il quale, comunque si voglia considerarlo, rappresenta pur sempre un ricordo storico che andava collocato nel Museo Civico e là… lasciato in pace tra gli altri polverosi cimeli di un’epoca che fu”. Aggiungendo: “Tuttavia, si è ancora in tempo a rimediare, incollando la testa recisa sul tronco e contentando l’altra testa, che un pochino ha l’aria di reclamare la compagna assente. Qualcuno, infatti, osservava stamani che l’aquila, così com’è ora, sembra zoppa e come inclinata a guardare in giù, ha una fisionomia di bestia inquieta, insomma. Attendiamo provvedimenti”.
Successivamente, l’aquila venne definitivamente fatta a pezzi dai comunisti di Tito nel 1949. In quell’occasione, la “Difesa Adriatica” (periodico degli esuli) del 26 marzo 1949, riportava, sotto il titolo di “In frantumi l’aquila della Torre Civica di Fiume”, quanto segue: “… due giovinastri furono veduti arrampicarsi, dal tetto di una casa lungo il cornicione della Torre e, con un sistema di corde e di altri sostegni, raggiungere faticosamente lo zoccolo su cui posava l’aquila. Per una buona mezz’ora, gli operai o altro che fossero, si affaticarono a smuovere l’aquila dalla sua base. Ma invano. Quei due primi uomini vennero sostituiti da altri due che recavano un apparecchio con la fiamma ossidrica. Non potendo recuperarla intera, i rappresentanti della civiltà balcanica (sic) se ne impadronivano facendola a pezzi. A ogni pezzo che cadeva rimbalzando sull’asfalto, la folla degli spettatori dava in urli, la folla protestava, molti andavano raccogliendo i frantumi e se li portavano via come reliquie”.
Di recente l’Associazione Stato Libero di Fiume – che si adopera per il recupero e la valorizzazione di storia, cultura, lingua, tradizioni e monumenti della città – ha avviato un’iniziativa volta a far ritornare la statua dell’aquila bicipite sulla Torre Civica. Tuttavia, visto che della versione originale – realizzata dallo scultore Vittorio de Marco, fusa nello stabilimento di Matteo Skull –, non è rimasto nulla, si dovrà procedere alla costruzione di una nuova statua, sicuramente più ridotta rispetto a quella distrutta, che era alta 2 metri e 20, aveva un’apertura alare di 3 metri e pesava 2 tonnellate.
Gianfranco Miksa
“la Voce del Popolo” 3 novembre 2012