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Radin: «C’era un dossier a mio nome Era difficile essere italiano in Istria» – 16lug13

Deputato italiano al Sabor (il Parlamento croato), classe 1950, Furio Radin, polesano doc, è anche lui uno che può vantare di avere un dossier a suo nome stilato dalla polizia segreta. Solo che il suo incartamento, assieme a quello di altri 20 personaggi, tra cui i dietini Damir Kajin e Ivan Nino Jakovcic e il defunto premier Ivica Racan, è scomparso nel 2000 proprio all’ascesa al potere del primo governo di centrosinistra nell’indipendente Croazia quello, per l’appunto, guidato da Racan. Non si sa quel dossier da quale anno partisse, sicuramente “conteneva” gli ultimi anni Ottanta e tutti gli anni Novanta.

Come ci si sente a essere spiato?

Ero convinto di non avere un dossier a mio nome, ma se c’era, era meglio che non andasse perso.

Beh era però in buona compagnia…

Sì, c’erano anche i dossier di Kajin e Jakovcic.

Scherzi a parte…

Io spero di non aver avuto alcun dossier ai tempi del comunismo, ma non si sa mai anche perché ho visto che persone che si occupavano solo di cultura come la Anita Forlani erano spiate dall’Udba. E questo mi lascia esterrefatto.

C’era anche Antonio Borme…

Sì ma lui ha una storia particolare lui era stato epurato dal partito ed essendo stato un dissidente del comunismo il fatto che fosse sotto controllo è già più logico. Il regime lo aveva tagliato fuori.

Ma le “paure” della polizia segreta jugoslava erano fondate?

No, non c’era alcuna ragione di temere gli italiani, non perché non fossero fedeli al sistema ma perché l’irredentismo non esisteva. I soldi spesi per spiarci sono stati buttati via e anche l’epurazione di Borme è stato un grande flop.

Come era vivere l’italianità in Croazia negli anni Ottanta, prima del “diluvio”?

Non è mai stato facile. Soprattutto negli anni Cinquanta quando l’esodo c’era ancora anche se non più in forma di massa ma individuale. Ed è stato particolarmente difficile negli anni del “Maspokret” del nazionalismo croato che in quegli anni si esprimeva attraverso il partito, la “Matica Hrvatska” che operava come ente culturale ma anche politico e molto nazionalista in Istria.

Cosa successe?

Successe che gli italiani non si riconobbero nei moti nazionali croati e quindi sono stati visti, anche all’interno del Partito comunista, come degli antagonisti. Si è sviluppata quindi una sorta di anti-italianità strisciante.

Lei ha avuto minacce?

No, mai anche perché in quegli anni vivevo a Zagabria e non in Istria e Zagabria, come tutte le grandi città, offre una visione più aperta, più cosmopolita.

Quali ambienti frequentava nella capitale?

Ero studente alla facoltà di ricerche sociali dell’Università, un ambiente molto aperto dove si incontravano anche serbi, montenegrini e dove non si declinavano i verbi del nazionalismo.

Ma c’era anche una parte accademica nazionalista…

Sì, ma noi non avevamo contatti.

Quali erano allora i suoi salotti?

Ero vicino alla rivista “Praxis”, agli ambienti della sinistra studentesca. Rivista che comunque era vista come dissidente all’interno dell’ortodossia comunista e se ho avuto dei problemi politici in quegli anni li ho avuti per queste ragioni non per quella di essere italiano.

Ma in Istria la musica era diversa…

Sì molti italiani hanno avuto problemi negli anni Ottanta, basta pensare alla vicenda di Virgilio Giuricin che si è fatto un anno di carcere, a Giovanni Radossi o a Giacomo Scotti, perseguitati proprio perché italiani.

Quando si avvertì che l’aria era pesante?

Alla morte di Tito.

Mauro Manzin
www.ilpiccolo.it 15luglio 2013

 

 

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