59.esimo Raduno dei Dalmati italiani nel Mondo a Senigallia. Protagonisti la storia e il futuro asilo, nel mezzo riflessioni e proposte che rivelano un tessuto vivace e presente. Sulla scia di quanto realizzato dagli esuli da Pola nella loro città e della volontà dei Fiumani di portare il proprio Incontro annuale a Fiume nel 2013, anche i Dalmati propongono di tenere il prossimo meeting in quel di Zara. Per dare un senso al nuovo corso dei rapporti con l’altra sponda dell’Adriatico, lanciato proprio da questi consessi, nelle parole di Lucio Toth che da anni ribadisce l’importanza di una presenza culturale nei rispettivi luoghi di provenienza affinché i giovani possano sentire come propria anche la cultura degli Italiani andati altrove con la tragica guerra sulla scia di spinte nazionalistiche di antica data.
E forse è proprio questo il nodo da sciogliere: l’origine stessa della contrapposizione etnica che tanta sofferenza ha creato in queste terre. Per superare quella comoda formula di “fascismo=comunismo=foibe” che così spesso si usa per giustificare tragiche verità. Le ragioni dell’esodo sono ben più profonde e la Dalmazia le conosce bene, se si considera che lo spostamento del popolo dalmata italiano è iniziato molto prima che le ideologie avvelenassero il Secolo breve.
Lo sanno bene storici e divulgatori come Guido Rumici, presente al raduno – nell’ambito del 18° incontro con la cultura dalmata condotto da Chiara Motka – col suo volume “Mosaico Dalmata – Storie di Dalmati italiani” che coniuga la parte dedicata alla storia, partendo dal 1848 e toccando tappe fondamentali come quelle del 1866 e 1878, da leggere e capire. O attraverso le poesie ed i racconti di autori come Raffaele Cecconi o saggi sulle opere d’arte tra Dalmazia e Italia come nel catalogo della mostra dedicata a Vincenzo Fasolo e presentato da Rita Tolomeo della Società Dalmata di Storia Patria di Roma. Tutti e tre invitati ad intervenire nella mattinata culturale.
Con il Giorno del Ricordo alcune consapevolezze si stanno facendo strada, grazie all’impegno dei protagonisti e testimoni dell’esodo, grazie alle numerose pubblicazioni che stanno invadendo il panorama editoriale dei circoli interessati. Rimane, tra le tante, la difficoltà di superare con le pubblicazioni le nicchie dell’associazionismo, di arrivare al vasto pubblico. La strada prescelta è quella delle scuole, intervenire attraverso l’educazione dei giovani per riempire le sacche d’ignoranza determinate dal lungo silenzio del Novecento sulle questioni adriatiche.
Legittima quindi la domanda posta da Lucio Toth nella sua lectio di domenica mattina su “come ci vedono gli altri, gli altri italiani innanzitutto. Perché per parlare di noi, dalmati italiani, e della nostra esistenza nella storia, da molti ignorata o negata, occorre innanzitutto capire con chi parliamo. Che cosa sa o pensa di noi il nostro interlocutore italico. Quello che vorremmo ci capisse di più”.
La risposta affonda nella storia e in tutti i tentativi del popolo Dalmata, ma anche di Fiume e l’Istria, di far arrivare all’Italia che stava nascendo, a quella che entrava in guerra, nella prima e nella seconda, che c’erano genti in queste terre “oltramarine” che si sentivano italiane e che anelavano ad un’unione all’Italia nel rispetto delle loro specificità. Una storia che Toth racconta in sei tappe che, attraverso nomi di personaggi famosi che si sono spesi per la causa fino ad atti di estremo sacrificio, svelano una verità ancora da acquisire al sentire comune, ovvero l’indifferenza del resto d’Italia a considerare legittime tali richieste perché complicate da quel calderone balcanico che l’Austria aveva messo in moto facendo leva sull’appartenenza nazionale che la storia trasformerà in nazionalismo.
Nella sesta parte, quella a noi più vicina, Toth ribadisce: “Il 6° periodo, che possiamo chiamare di un risveglio dell’attenzione sul piano storiografico e sentimentale, è quello che va dal 1991 ad oggi. Il triste e lungo quarantennio di silenzio è cessato infatti quando la cruenta dissoluzione della Federazione Iugoslava mostrò al mondo quanto fosse effimera quella costruzione politica, quanto fosse oppressivo ed economicamente sballato il vantato “modello iugoslavo”, di quali efferatezze fossero capaci le contrapposte fazioni.
Si aprì allora una breccia nella pubblica opinione del paese che le nostre associazioni hanno saputo intelligentemente allargare, riportando alla luce della memoria nazionale la nostra vicenda di giuliano-dalmati. In questa riscoperta storica, cui concorsero scrittori e giornalisti di ogni tendenza politica, anche la Dalmazia tornò ad affacciarsi all’attenzione della nazione.
Molto contribuirono le parole dei Presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Fu Ciampi in un messaggio di Capodanno ad affermare che “i nomi di Fiume, di Pola e di Zara sono nel cuore di tutti gli italiani”. Erano decenni che non sentivamo qualcosa del genere.
Le leggi approvate dal parlamento, quasi all’unanimità, nei primi anni del 2000 confermarono questa attenzione come l’introduzione del Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo (10 febbraio) e la tutela del patrimonio storico e culturale degli Italiani dell’Adriatico Orientale, oltre ad altre provvidenze di carattere sociale, furono il segno tangibile, seppure modesto, di questo ritorno alla superficie del fiume carsico della nostra storia e della nostra cultura…”.
E poi si sofferma su uno dei punti dolenti del rapporto dei Dalmati con l’Italia:
“E ancora, onestamente – dice Toth, interpretando il comune sentire espresso a più voci durante il Raduno – ci è difficile capire perché non sia mai stata ufficializzata la concessione della medaglia d’oro alla nostra città”. Medaglia – è stata ribadito dallo stesso Franco Luxardo – data ad altre città distrutte dai bombardamenti con migliaia di morti. La motivazione per Zara non viene accettata.
E continua Toth: “Oggi, guardando all’avvenire – come stiamo già facendo – il nostro obiettivo si è fatto ancora più ambizioso: riconquistare l’attenzione della cultura e dell’opinione pubblica croate nel riconoscere l’esistenza di una radicata presenza italiana lungo la costa dalmata.
E’ un compito nobilissimo perché non vuole riaprire antiche ferite reciproche, ma ricostruire una memoria che non disconosca a priori il carattere plurinazionale della nostra terra. L’obiettività delle nostre posizioni, la rinuncia a rivendicazioni territoriali (ancora così vive tra i paesi della ex-Iugoslavia tra Slovenia e Croazia, Croazia e Bosnia, Bosnia e Serbia), il riconoscimento del carattere minoritario dell’italianità dalmata di fronte ad una innegabile maggioranza croata della popolazione, secondo l’insegnamento di quel grande dalmata e italiano che fu Niccolò Tommaseo, devono servire a vincere le tendenze negazioniste dell’estremismo nazionalista croato e del nostalgismo comunista titino.
Anche l’affermazione dell’autoctonia della presenza latina e italiana in Dalmazia, al di là della “colonizzazione veneziana” dal XIV secolo al 1796, deve essere da noi suffragata con serietà storiografica e documentaria, pronti anche ad accettare quello che la propaganda nazionalista italiana voleva ignorare. La verità trionfa sempre. E non dobbiamo avere paura di proclamarla a testa alta. Quando si sa stare nei limiti della realtà è la realtà stessa a darci ragione. E nessuno ci potrà smentire”.
Discorso ripreso anche nell’intervista al Premio Tommaseo edizione 2012, lo storico e scrittore veneziano Alvise Zorzi. Non è potuto essere a Senigallia per ragioni di salute ma si è rivolto ai presenti attraverso un’intervista filmata proiettata all’incontro. “La cultura della Serenissima, che permea la realtà dalmata è un patrimonio che appartiene all’umanità e a maggior ragione al popolo che abita quelle città e che a quelle città si sente d’appartenere. Perché ancor oggi Venezia può insegnare molto all’Europa per la sobrietà e la lungimiranza del suo amministrare”.
Le due giornate sono state arricchite anche dalla presenza della fanfara dei Bersaglieri che si è esibita nella piazza principale di Senigallia, dalla partecipazione delle massime autorità, dal Vescovo al Sindaco agli incontri dalmati. Durante la messa è stato letto un lungo elenco di “amici andati avanti” nel corso dell’ultimo anno. Una lista troppo lunga che sta assottigliando le file dell’associazione, di tutte le associazioni senza che ci sia la garanzia di un ricambio necessario e doveroso. Un ritardo di alcuni decenni della politica nei confronti delle tematiche dell’esodo hanno determinato anche questo strappo generazionale difficile da ricucire trasformando la nostalgia in voglia di costruire nuove occasioni d’incontro. E forse proprio la Dalmazia sta dando un segnale in questo senso, con la presenza massiccia ai raduni degli italiani di Dalmazia, un’osmosi necessaria per quel futuro di cui già oggi si vorrebbe avere conferma ma per il quale bisognerà investire tempo e fatica. Il messaggio è chiaro.
Rosanna Turcinovich Giuricin
www.arcipelagoadriatico.it 1 ottobre 2012