di FURIO BALDASSI
La sua dichiarazione si limita all’essenziale: «Non ho alcuna comunicazione ufficiale e non desidero fare né commenti né altro. Per rispetto e per correttezza». Punto. Raggiunto al telefono per essere richiesto di un commento sull’ultima notizia giunta dal Vaticano, relativa alla successione ai vertici della Curia, monsignor Eugenio Ravignani non intende aggiungere niente altro a queste poche, scarne parole. Del resto, che dovesse andare in pensione per raggiunti limiti di età è noto ormai da quasi due anni: da quando diede le dimissioni una volta compiuti i 75 anni. Che nel periodo di ”vacatio” abbia continuato a svolgere l’attività di sempre, anche. Ed è altrettanto vero che in questi mesi di nomi di possibili successori ne sono circolati tanti, a partire da quello di Giampaolo Crepaldi che ora torna con una forza mai emersa prima.
Certo, il curriculum di Crepaldi è di tutto rispetto. Già vescovo di Bisarcio nel comune di Ozieri in Sardegna, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro dal 1985 al 1994, sottosegretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace riconfermato nel 2001, autore di moltissime pubblicazioni, tra i realizzatori della prossima enciclica di Papa Benedetto XVI.
Un religioso di spessore per succedere a un vescovo non meno ”illuminato”. Perché Ravignani, durante il suo mandato triestino e anche prima, ha fin qui legato il suo nome ad alcune iniziative che in qualche modo hanno precorso i tempi. Ancora giovane, su mandato dell’allora vescovo Antonio Santin tra il 1967 e il 1978 avviò il dialogo ecumenico con i responsabili della Chiese cristiane, ortodosse ed evangeliche, estendendolo anche alla comunità israelitica. Una missione quasi diplomatica che gli valse la nomina a rettore e prefetto degli studi teologici nel seminario diocesano, dove rimase dal 1968 al 1983, prima di essere eletto vescovo della diocesi di Vittorio Veneto e consacrato a Trieste nella cattedrale di San Giusto da monsignor Lorenzo Bellomi.
Quattordici anni più tardi, il trasferimento nella sede vescovile triestina e, il 2 febbraio 1997, l’ingresso ufficiale nella diocesi che ancora oggi regge. Il suo lavoro incessante nel territorio giuliano, ponte per l’Europa dell’Est, e i risultati ottenuti sul terreno del dialogo ecumenico, gli sono valsi tra l’altro il plauso di Papa Giovanni Paolo II.
Anche nei tempi più recenti del suo mandato Ravignani non ha mai evitato di lanciare un messaggio ai prelati, soprattutto a quelli più giovani, della Chiesa triestina: «Uscite dal tempio e spendetevi lealmente senza riserve». Un invito a lavorare per i giovani, per la concordia, per la prosperità, per la pace, senza dimenticare uno dei temi che più gli stanno a cuore, quello della memoria condivisa. «Non si chiedeva a nessuno di dimenticare quanto aveva sofferto, ma di custodirne la memoria purificandola da ogni sentimento che potesse giustificare chiusure e divisioni».
Ravignani da sempre sostiene di essersi basato su un documento del predecessore Bellomi, e di averne seguita la via: guardare alle vecchie e nuove povertà ed essere sensibili a un dialogo con la cultura diffusa. Critico con i nuovi egoismi e la società dell’immagine, ha sempre mantenuto basso il profilo, al punto da precisare che «se la mia parola potè talora sembrare critica nei confronti di situazioni in cui era umiliata la dignità dell’uomo e del suo lavoro e compromessa la serenità degli animi fino a creare chiusure e opposizioni inconciliabili, non fu mai giudizio su persone».