di SILVIO MARANZANA
L’occupazione nazista, il comunismo ateo, fino alla caduta dei confini e il libero incontro tra le genti. Tutta la storia recente di Trieste, dalle giornate più tragiche ai momenti di più intensa speranza, è stata simboleggiata nella messa che ieri mattina il Vescovo Eugenio Ravignani ha celebrato nel Tempio mariano di Monte Grisa a cinquant’anni dalla posa della prima pietra. «Ho dei ricordi molto intensi di quel 19 settembre 1959 – ha ricordato Ravignani nell’omelia – perché allora mi trovavo a Trieste, ma ero un prete molto giovane e in quella giornata felice ero un prete microfonista, sì avevo un piccolo incarico un po’ particolare: ero addetto al controllo del microfono da cui parlarono gli oratori della cerimonia».
Duecentocinquanta fedeli sono intervenuti alla celebrazione, pochi per l’ampiezza e la maestosità degli spazi interni del Tempio. In prima fila il sindaco Roberto Dipiazza, l’assessore regionale Federica Seganti, il consigliere comunale Roberto Sasco, mentre un altro consigliere comunale, Claudio Frommel, era a cantare in mezzo al coro. Da alcune vetrate del piano inferiore si potevano vedere le impalcature che ancora coprono alcune facciate esterne del santuario, dopo i paurosi crolli del rivestimento esterno del tetto verificatisi il 27 maggio 2004 e il 3 giugno 2007 e che solo per miracolo non causarono feriti tra i pellegrini in visita. Due episodi gravi in seguito ai quali lo stesso Monsignor Ravignani, assieme a don Sergio Vazzoler, rettore della santuario, che ieri ha concelebrato la messa, sono stati indagati per concorso in disastro colposo quali responsabili legali della struttura dal sostituto procuratore Raffaele Tito. Uno strascico giudiziario che ha rattristato le ultime settimane del vescovado di Ravignani che il 4 ottobre consegnerà la Diocesi al nuovo vescovo, Giampaolo Crepaldi. La ricorrenza è stata dunque anche l’occasione per una delle ultime uscite pubbliche del Vescovo che negli anni del suo incarico ha denunciato con coraggio la necessità che politici e amministratori intervengano a favore del lavoro e della famgilia. Nessun accenno, però, sull’indagine della Procura.
L’edificazione del tempio era stata fortemente voluta dal Vescovo Santin. «Nell’aprile 1945 – ha ricordato Ravignani svelando qualche lato inedito – Santin fece un doppio voto: uno privato, rimasto segreto (particolare che non si trova nei manuali illustrativi del Tempio) e uno pubblico: «Se con la protezione della Madonna, Trieste sarà salva, farò ogni sforzo perché sia eretta una chiesa in suo onore». Santin si riferiva in particolare alla salvezza del porto che era stato minato dai nazisti in fuga. La città non esplose, assieme all’Italia era finalmente uscita da oltre vent’anni di dittatura fascista, ma il suo calvario particolare era tutt’altro che finito. Il giorno seguente ai voti di Santin arrivarono in città i titini. Ai quaranta giorni di occupazione jugoslava seguirono nove anni di amministrazione angloamericana.
Si dovette aspettare dunque la fine degli Anni Cinquanta, allorché Papa Giovanni XXIII decise che il costruendo Tempio sarebbe stato dedicato a Maria Madre e Regina. Sorse sul ciglione carsico visibile anche dalla Jugoslavia comunista. «Oggi – ha detto Ravignani – questo tempio è luogo di incontro di genti che non conoscono più confini». Il santuario doveva custodire un simulacro della Madonna di Fatima che lo stesso Vescovo di Fatima, Joao Pereira Venancio portò a Trieste il 7 giugno 1960. «Tra le spalle che ressero quel peso, che sembrò leggerissimo, fino a San Giusto – ha ricordato Ravignani – c’erano anche le mie». Ieri dinanzi a quella stessa statua della Madonna sul piazzale del belvedere di Monte Grisa, il Vescovo, applaudito dai fedeli, ha nuovamente affidato la città di Trieste al Cuore immacolato di Maria.