di PIETRO SPIRITO
GRADO «Avviare oggi un cantiere di archeologia subacquea su un relitto del Mare Adriatico o del Mare Ionio può rappresentare un autentico suicidio se non si dispone di una soluzione pronta o comunque già bene avviata di museo o magazzino». Con queste parole Luigi Fozzati, soprintendente regionale per l’archeologia aprirà oggi a Grado, alle 9 all’Auditorium Biagio Marin con il saluto, fra gli altri, del sindaco Adriana Olivotto, il convegno internazionale dedicato all’«Archeologia subacquea del Mar Adriatico e del Mar Ionio. Ricerca, tutela e valorizzazione dei relitti». L’assise, organizzata dalla Soprintendenza per i Beni archeologici del Friuli Venezia Giulia e da Iniziativa Adriatica-Ionica, radunerà sull’Isola del sole il fior fiore degli archeologi subacquei italiani, sloveni e croati. Un convegno importante, che in due giorni di lavori affronterà un tema delicato al di là delle implicazioni scientifiche, perché la tutela e la valorizzazione dei relitti antichi e moderni dei nostri mari è strettamente legata a un potenziale indotto economico che riguarda soprattutto il comparto del turismo.
Ma la risposta alla domanda che si pone Fozzati nel suo intervento di apertura lavori – ”Relitti: che fare?” – è sconfortante: nella gran parte dei casi meglio lasciarli dove sono. «Non sempre, non dovunque e non a qualunque modo e costo – dice il soprintendente – si deve procedere allo scavo e al recupero di relitti sui fondali adriatici e ionici». Del resto Fozzati parla a ragion veduta: sin dal suo insediamento nel 2008 aveva espresso la volontà di di esporre in tempi brevi al Museo del mare di Grado la nave romana Iulia Felix, ma a tutt’oggi la struttura è in lavoro e mancano un milione di euro per terminarla, mentre la nave giace a pezzi nei magazzini. Il che significa che difficilmente il museo sarà fruibile nei ”tempi brevi” annunciati due anni fa. Il ”caso Iulia Felix” è solo uno dei tanti indicativi della difficoltà che c’è in Italia – e nella nostra regione – in fatto di valorizzazione dei tesori archeologici sommersi. Se una possibile soluzione, auspicata da Fozzati e non solo da lui, può essere quella di «una commissione tecnica che sia capace di programmare l’archeologia subacquea in Italia», un’idea del patrimonio – stimato in oltre 15mila relitti – che giace sul fondo dei nostri mari lo si avrà proprio dagli interventi del convegno, in particolare da una compagine di giovani archeologi subacquei che si immergono con competenza e passione dando contributi fondamentali alla ricerca: tra questi Giulio Volpe e il gruppo dell’Università di Foggia, Stefano Medas, Irena Radic, Giulia Boetto, Rita Auriemma, Carlo Beltrame, Dario Gaddi.
Solo per restare nel nostro golfo la lista dei tesori sommersi è lunga: dal relitto di una nave del III a. C. secolo denominata Grado II, a un’altra nave del I secolo sepolta in laguna, al brigantino del regno italico ”Mercurio” fino a relitti di navi più moderne, come una motozattera tedesca affondata nella primavera del 1945 al centro del canale navigabile di Grado. Se poi si allarga l’orizzonte i contributi dell’assise porteranno lungo le coste dell’Adriatico da Orsera, dove a 13 metri di profondità c’è una nave romana naufragata nel III secolo (relazione di Vladimir Kovacic) fino in Albania, dove a 37 metri sul fondo riposa la nave ospedale ”Po” (ne parla Mario Mazzoli), e in Puglia dove l’Università del Salento ricostruisce rotte e traffici dell’antichità.
Che fare, dunque, di questa grande ricchezza storica? L’auspicio degli organizzatori del convegno è che dai lavori escano suggerimenti o indicazioni utili a gestire le ricerche e la tutela a breve, medio e lungo termine anche alla luce della Convenzione Unesco sul patrimonio subacqueo e del Progetto Archeomar. Ricerche e tutela che si avvalgono – non va dimenticato – dell’ausilio e del supporto delle forze dell’ordine, come spiegherà Renato Basso, comandante del Nucleo carabinieri subacquei di Trieste nella sua relazione sui compiti specifici, le competenze e le modalità d’impiego dei sommozzatori dell’Arma.