LETTERE
Nel periodo in cui si celebra il Giorno della memoria vorrei descrivere alcuni fatti agghiaccianti accaduti mezzo secolo fa, prima delle foibe, dinanzi alle porte di Trieste. Non per rivangare il passato, ma per fare luce sulla verità storica e per confermare il pensiero che anche l'Italia stessa ha contribuito tanto alla storia tragica di questi luoghi.
La zona di Brkini per esempio, che prevalentemente fa parte del comune di Villa del Nevoso, fu tra le prime a pagare un terribile contributo della guerra. Il 4.6.1942 le squadre fasciste incendiarono sette villaggi, uccisero 28 ostaggi sotto il villaggio di Kilovce (vedi il segnacolo commemorativo!), sequestrarono tutto il bestiame e le proprietà mobili e deportarono oltre 400 persone. Seguì un vero giorno di giudizio nel villaggio di Lipa sulla strada Postumia-Fiume il 30.4.1944, dove l'intera popolazione, 286 paesani, furono massacrati ed il paese quasi completamente distrutto dalle truppe tedesco-repubblichine (vedi la lapide commemorativa!). Nell'opera di Marco Pacor (Confine orientale, Questione nazionale resistenza nel Friuli Venezia Giulia, Feltrinelli Editrice, Milano, 1964) possiamo leggere per esempio, che dopo aver circondato il villaggio «l'orda criminale cominciò a imperversare per le sue viuzze aggredendo i paesani, dapprima strappando ciò che avevano di oro, anelli, catenine, perfino denti, poi infierendo sempre più, violentando le donne per poi ucciderle a colpi di rivoltella o di pugnali, mitragliando i contadini, sgozzando perfino i bambini in braccio alle mamme…».
Fuggendo dalla verità storica non si fa altro che rinforzare la memoria storica distorta, avvelenare i rapporti reciproci e sprecare la preziosa opportunità per la riconciliazione, la quale richiede talmente poco sforzo dalla nostra parte. Basterebbe forse già un gesto ufficiale di rammarico da parte del Presidente del Consiglio della Republica italiana. Sono convinto che in questo caso anche la Slovenia e la Croazia saprebbero abbassare la testa di fronte al male inflitto agli italiani nel dopoguerra.
Milan Gregoric