Avrebbe compiuto oggi ottant’anni Sergio Endrigo, nato a Pola nel 1933. A otto anni dalla comparsa, avvenuta il 7 settembre del 2005, è sulla rete che migliaia di fan lo ricordano con affetto inviando messaggi alla figlia Claudia.
Come mai questa rimozione?
«È un meccanismo strano e contorto. Il mondo della canzone, i suoi colleghi Battiato, Vanoni, Paoli, gli dedicano concerti e lo ricordano nei dischi. La gente lo ama e lo ascolta in youtube. Al contrario le case discografiche non ripubblicano i suoi successi su cd, le radio e televisioni non li trasmettono».
Perché questo?
«È un processo iniziato già negli anni Novanta. Nonostante la bellezza dei suoi lavori, come “Allora balliamo”, “Altre emozioni”, “Qualcosa di meglio”, le case discografiche non lo pubblicavano. Lui ne soffriva molto, è deprimente per un artista creare un disco, quasi un figlio, e non vederlo cresce. Dal 2006 mi dedico a tenere viva la sua memoria. Mio padre è stato talmente grande che la sua grandezza verrà riconosciuta fra cento anni, come è accaduto a grandi compositori del passato».
Le parlava mai di Pola?
«Per pudore mi ha sempre parlato poco di questa vergognosa pagina di storia italiana di cui fu vittima. Da ragazzino aveva vissuto il dramma dell’esodo come un’avventura. Quando scrisse “1947” il suo pensiero era per la sofferenza della madre. Ritornò solo due volte a Pola negli anni Settanta, non sentiva il bisogno di cercare le sue radici, la sua casa l’aveva ricostruita altrove».
Che cosa amava di lui?
«L’ingenuità, la fiducia verso gli altri, ma anche la grande umiltà e curiosità. Era dolcissimo e mi ha insegnato l’amore e il rispetto per la natura e gli animali. Amava viaggiare, mescolarsi con la gente e la cultura che incontrava, temi presenti nella sua opera».
Il suo rapporto con Pier Paolo Pasolini?
«Si stimavano molto, Pasolini gli disse di scegliere liberamente fra la sua produzione, cosi scrisse la canzone “Il soldato di Napoleone” ispirata alla raccolta “La meglio gioventù”. Amava il bello e rifiutava il clamore sfrontato. Fu amico di tanti poeti, fra questi Giuseppe Ungaretti e Vinicius de Moraes del quale interpretò testi tradotti da Sergio Bardotti».
Gli piacerebbe l’Italia di oggi?
«Assolutamente no. Non sopporterebbe la violenza verbale e fisica, la mancanza di rispetto, la sfrontatezza dei tanti indagati e dei pochi onesti. Si è sempre dichiarato uomo di sinistra, fino alla morte di Berlinguer fu iscritto al Pci, poi si allontanò dalla politica».
Come è nata la collaborazione con Simone Cristicchi?
«Fu Francesco Migliacci, amico di papà e manager di Simone, che li fece incontrare. Simone, per me il fratello che non ho, lo adorava. Assieme hanno inciso una canzone. Si assomigliano molto: dolcissimi, disponibili e senza atteggiamenti da star».
Che rapporto aveva con la scrittura?
«Amava scrivere, fra le sue carte ho trovato una ventina di pagine di un’ autobiografia romanzata purtroppo mai completata, causa la sua proverbiale pigrizia. Un testo molto bello che spero potrà essere pubblicato, assieme a altri inediti».
È mai stata a Trieste?
«Vi sarò in ottobre in occasione dello spettacolo di Simone Cristicchi dedicato al Magazzino 18 del Porto vecchio».
Il 26 luglio a Spilimbergo Cristicchi si esibirà nel concerto “Tributo a Sergio Endrigo”, inserito nel calendario della nuova edizione di Folkest.
Margherita Reguitti
www.ilpiccolo.it 15 giugno 2013