ANVGD_cover-post-no-img

Ricordare per capire (ragionpolitica.it 09 feb)

di Stefano Doroni
doroni@ragionpolitica.it 
   
In questi giorni circola in tv uno spot che avverte che il 10 febbraio è il «Giorno del Ricordo»: un momento dedicato alla tragedia degli italiani esuli di Istria e Dalmazia e dell'eccidio delle foibe. I fatti sono chiari, il problema è il silenzio che li ha vergognosamente coperti per decenni. Un muro di silenzio eretto dalla politica e dall'ideologia. L'ignoranza è stata utile alla ragion di Stato, dal momento che fu conclusa la pace con la Jugoslavia di Tito e che quest'ultimo ruppe l'asse di assoluta fedeltà a Stalin spostando di fatto, con soddisfazione delle potenze atlantiche, la cortina di ferro verso est. Le ragioni dell'equilibrio terribile della guerra fredda mascherarono la realtà, anch'essa terribile. Ma oltre a questo ruvido patto della politica realista dei trattati internazionali e del gioco bipolare del potere mondiale, un'altra componente – ancor più scandalosa – ha contribuito ad interrare due volte i poveri resti degli italiani nelle foibe istriane: la propaganda comunista, in sostanza la legge dell'ideologia.

Quella compiuta dagli aguzzini di Tito fu una vera e propria operazione di pulizia etnica, non migliore in sostanza di quella razzista di Hitler o di Saddam Hussein contro i curdi. Ma fu compiuta dai comunisti, tra l'altro spesso in combutta con i partigiani rossi italiani, a dimostrazione della subalternità della resistenza comunista italiana (vale a dire la maggior parte) ai piani e all'impianto imperialista del regime staliniano. Inoltre le vittime costrette ad abbandonare per sempre la propria terra compiendo un drammatico e tristissimo esodo, per ironia della sorte non vennero nemmeno accolte benevolmente in Italia, proprio perché vennero spacciate per biechi anticomunisti che fuggivano dal paradiso dei proletari. Di conseguenza i morti, quelle migliaia di poveretti precipitati dentro le foibe spesso ancora vivi e dopo aver subito intollerabili sevizie, furono dimenticati, come si dimentica qualcosa di scomodo: morti che non contavano niente, che anzi era meglio seppellire sotto un silenzio omertoso per non offuscare con l'esposizione delle sue innumerevoli vergogne l'immagine di un regime che doveva essere presentato agli italiani come un paradiso.

Dunque, per divulgare un'ideologia maligna sotto l'immagine di un pensiero di bene per l'umanità, l'arte comunista della menzogna fu dispiegata per coprire una pagina di dolore, e uccidere così due volte migliaia di innocenti. E così delle foibe non si parlò mai; di quel tremendo capitolo di storia non rimase traccia da nessuna parte, a cominciare dai manuali di storia in uso nelle scuole italiane. Gli autori di quei testi sono stati, e sono ancora, in maggioranza intellettuali marxisti, che hanno obbedito diligentemente all'ordine di occultare una pagina scomoda. Nei libri di storia si fanno esercizi di retorica sul fascismo; si scrivono pagine infuocate sul nazismo, ma solo recentemente qualcuno ha avuto il coraggio di parlare di Stalin secondo verità; e ancor più recentemente è spuntata qualche pagina in cui si racconta, spesso con una reticente delicatezza, della vicenda delle foibe. Fa male ai compagni raccontare le vergogne della propria ideologia, essere costretti a svelare, seppur col contagocce, l'abisso di male su cui poggiano i loro roboanti proclami in favore del popolo.

Tale è stata l'operazione di manipolazione culturale che fino a qualche anno fa esistevano insegnanti che nemmeno sapevano come si pronunciasse la parola «foibe»: qualcuno pensava fosse francese e si dovesse dire «fuab» (è un episodio che ho sentito raccontare dal grande storico Arrigo Petacco, autore di un testo fondamentale su quella pagina storica, intitolato L'Esodo). Ma qual è la verità? La faccenda è molto semplice. Per secoli le terre istriane e dalmate, fra il Friuli, la Slovenia e le coste dell'attuale Croazia, sono state italiane e hanno respirato la nostra cultura, a cominciare dal periodo di splendore della Serenissima Repubblica di Venezia. Il ceppo etnico italiano è stato poi volutamente spazzato via, costringendo le persone alla fuga o alla morte, dagli sgherri comunisti di Tito sul finire della seconda guerra mondiale. Venivano arrestati tutti: funzionari, negozianti, preti, semplici civili, senza che necessariamente avessero fatto parte dell'amministrazione fascista in quelle terre durante l'occupazione dell'Asse. In perfetto stile comunista, che sarebbe tanto piaciuto al compagno Berjia, non era importante ciò che avevi fatto o non fatto per essere preso e ucciso, ma semplicemente chi eri: la colpa non stava negli atti di cui ognuno è giustamente responsabile ma nell'appartenenza o meno ad un gruppo umano. Si poteva dunque essere catturati senza motivo, torturati, seviziati in modo bestiale, e poi gettati magari ancora vivi dentro le foibe.

Una foiba è un crepaccio sovente molto profondo e irto di rocce taglienti, tipico del paesaggio montano carsico della zona tra Friuli e Slovenia: una persona gettata lì dentro, anche se viva, non ha possibilità di uscire, e può solo morire fra atroci tormenti. Bene, da questi orrendi pozzi naturali, negli ultimi anni in particolare sono stati estratti metri e metri cubi di resti umani, che fanno stimare in qualche decina di migliaia i morti di quell'infame operazione. Questa è una vergogna comunista.

I profughi istriani poi, stipati nelle navi che li portavano in Italia, furono sovente cacciati dai porti dove tentavano di attraccare proprio perché accusati dagli stessi lavoratori portuali – evidentemente indottrinati dalla propaganda del Pci – di essere fascisti in cerca di rifugio e impunità. Altra vergogna comunista, questa volta tutta italiana. Altro motivo per scandalizzarci, per indignarci e vergognarci di avere – oggi – partiti che si fanno chiamare comunisti nel nostro paese, e di avere qualcuno in mezzo alle nostre case che continua a votarli. Ma questa vergogna è purtroppo frutto dell'ignoranza, della propaganda culturale di sinistra che ha dipinto il diavolo come se fosse un angelo; e che, se i fatti non l'avessero costretta all'angolo, continuerebbe candidamente a farlo, a proteggere le macchie storiche e ideologiche della sua origine.

È dunque giusto che si ricordi la pagina dolorosa delle foibe: che sia fatta ricordare prima di tutto agli alunni delle scuole, che hanno bisogno e diritto di sapere la verità. Perché la cultura non sia più ostaggio della bugia. Perché non esistano più morti di serie A e di serie B. Perché gli orrori, da qualunque gruppo e da qualunque persona siano commessi, vengano conosciuti ed esecrati. Un paese non diventa veramente libero e democratico finché non si libera dalle macchie impresentabili che ne offuscano la storia: e quel silenzio colpevole è una macchia che bisogna definitivamente lavare via.

 

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.