LETTERE
Nelle Segnalazioni da anni si legge qualche fatto che riguarda le foibe, e un paio d’anni fa lessi un articolo riguardante una persona che nel passato era un convinto titino, il quale sapendo che io conoscevo bene il suo passato, mi scansava sempre. Era però arrivato il momento che non poteva più farlo. Gli dissi allora che era strano che proprio lui scrivesse cose del genere, e mi rispose che nella vita bisogna essere furbi, poiché a Trieste, parlando di foibe, si hanno molte porte aperte. In certi racconti ho letto delle falsità incredibili, addirittura che bastava parlare italiano per finire in foiba. Ricordo che una gran parte di partigiani parlavano italiano, e nei comizi dopo qualche parola iniziale in sloveno parlavano in italiano perché tutti comprendessero. Nel 1945 durante i 40 giorni di permanenza delle truppe di Tito a Trieste ho avuto modo di assistere a un processo popolare (come allora li chiamavano) nella Risiera di San Sabba. Gli imputati erano Marin, il più noto fascista di Sant’Anna, e il figlio, allora molto giovane, comunque sempre in divisa fascista e armato sino ai denti.
In quell’epoca abitavano nella stessa casa dove ora si trova il bar Stadio, all’epoca invece era negozio di alimentari, proprietà dello stesso Marin. Durante la guerra, mentre stavo andando a scuola, che sulla porta della loro casa più volte c’era scritto con il gesso «per te foiba N.I.». Ritornando su quella specie di processo, ricordo che alcune persone gridavano «a morte a morte, hanno fatto del male». Allora uno dei capi partigiani che giudicavano disse «se qualcuno ha delle prove certe della loro colpevolezza, dico prove certe e non per sentito dire, si faccia avanti». Nessuno si mosse, e i Marin vennero rispediti a casa. Senz’altro in guerra può capitare di tutto perché niente è sotto controllo e purtroppo anche persone innocenti sono finite in foiba, e se per disgrazia scoppiasse un’altra guerra, tutto si ripeterebbe perché l’uomo è sempre lo stesso. Basta vedere nelle guerre dei nostri giorni, per colpire un talebano bombardano villaggi interi ammazzando donne e bambini, per poi magari chiedere scusa.
Pertanto la guerra non bisogna farla in nessun caso per poi non subirne le conseguenze, e quella che ha portato tanto dolore dalle nostre parti, si sa bene chi l’ha voluta. Anche se ero piccolo ricordo molto bene quando le truppe italiane aggredirono la Jugoslavia, per le vie della città era baldoria, «andemo a romperghe i ossi a quei s’ciavi» si sentiva gridare.
E quando la radio annunciò «da oggi in poi Lubiana è italiana» ricordo per le vie della città abbracci e strette di mano da sembrare la festa di fine anno. Ma tra i temi della maturità questi fatti non verranno mai scelti.
Aldo Biecar