Sono ricordi della vita di ogni giorno al Centro raccolta profughi di Laterina (Crp), in provincia di Arezzo, quelli scritti da Paolo Tropea che si pubblicano qui di seguito. Non è un esule, ma diventerà amico dei profughi. Il suo è un racconto interessante, ricco di nomi, come quelli del direttore, del vice direttore del Campo, dell’infermiera e della maestra. Ci sono momenti molto belli, pur nel disagio della vita in baracca.
Il babbo di Paolo era Giuseppe, l’autista del Crp. Guidava l’autoambulanza, o i camion Dodge e Ford, modelli USA ereditati dopo la Seconda guerra mondiale per l’utilità del Crp. La famiglia Tropea si è trasferita da Napoli per lavoro e, nonostante i lunghi pianti di nostalgia della signora Pia, mamma di Paolo, pian piano si adatta a vivere nella baracca n. 18. La famiglia partecipa alle processioni religiose nel Crp, al coro parrocchiale, al teatrino e alla vita dei profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, oppure dei fuoriusciti dall’Africa. Il destino porta Paolo negli spazi del Crp trasformato in Zona industriale anche dopo il 1963, anno della sua chiusura ufficiale. È in Toscana che, infine, Paolo trova il lavoro e l’amore.
Ecco le parole di Paolo Tropea.
A cura di Elio Varutti
Mi chiamo Paolo Tropea e sono uno dei tanti che hanno vissuto nel campo profughi di Laterina. Non eravamo esuli, ma a mio padre, essendo dipendente statale, da militare era istruttore di scuola guida, dissero che avevano bisogno di un autista per il Campo profughi di Laterina. È il 1952 quando i miei genitori decidono di trasferirsi presso quel Centro raccolta profughi (Crp). Il nucleo familiare era composto da mio padre Giuseppe (1916-1968), mia madre Pia Elia (1922-2021), da mio fratello più grande, Francesco (1943-1994), dal secondogenito Luciano (1949) e da me, il più piccolo. Non ricordo tanto di quei tempi, ero nato ad ottobre del 1951 e dopo solo due mesi ci trasferimmo a Laterina. Non subito nel Campo, ma a Laterina paese ci dettero una casa provvisoria aspettando un alloggio definitivo al Crp. Ricordo mia madre quando raccontava che erano momenti difficili, non riusciva ad ambientarsi. Il fatto di avere lasciato Napoli dove c’era di tutto, allontanarsi dai familiari, amici, per ritrovarsi in un paese sconosciuto dove non conosceva nessuno, non la faceva stare bene. Non faceva altro che piangere.
Arriva il giorno in cui ci viene assegnata una casa, o meglio: una baracca. È la numero 18. È come le altre, solamente non siamo con altre persone e il bagno è indipendente. Mio padre incomincia a prendere servizio come autista, aveva in consegna un’ambulanza e due camion che servivano sia per il trasporto merci, ma anche per portare persone che arrivavano o partivano dal Campo. Passano un po’ di anni e piano piano ci abituiamo a quella vita nel Centro, si incomincia a conoscere gente, fare amicizie, tanta brava gente. In quel periodo non avevo mai sentito raccontare di fatti spiacevoli.
Il Campo con il tempo incomincia a cambiare, sembra sempre più un piccolo paese. La casa della perpetua Maria Dell’Orco viene unita alla chiesa. In uno spiazzo avanti alla baracca n. 18 dove abitavo e la n. 19, quella della perpetua, fu fatto un campino per la pallacanestro dove frequentemente venivano fatte partite. C’è la Direzione, gli uffici del Campo dove mio padre entra come impiegato. Ci sono il negozio del barbiere, il falegname e la biblioteca. In una baracca vicino la n. 1, la sala tv con pista da ballo. Poi c’è l’infermeria. I commercianti dei dintorni incominciano ad arrivare a fare i mercati. Ricordo da casa passava il lattaio Dante e poi successivamente il fratello Arturo con sopra la moto con due stagne di latte fresco. Da quei recipienti di latta a chiusura ermetica con una tazza riempiva le bottiglie per l’uso quotidiano.
Come dicevo all’inizio, ricordo poco dei fatti successi nel Campo. Ricordo dei nomi, come il direttore del centro, si chiamava Lapini, abitava in una villetta prima dell’ingresso del campo. Il vice direttore che poi prese il posto del Lapini, Ulisse Zardi. Poi c’erano la maestra Benvegnù, il cui marito faceva l’elettricista, l’infermiera era la signora Sottili, che viveva con una nipote Giuliana, gran bella ragazza, corteggiata da tanti, che insieme ad altre ragazze aprirono una stanza dove lavoravano a tombolo.
Passa il tempo e gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia incominciano ad andare via, chi in altri centri sparsi per l’Italia e chi trova lavoro e si stabilisce in altre città. Verso la fine del 1959 inizi del 1960 arrivano profughi dal nord Africa, Tunisia, Libia, Egitto, brave persone anche loro, ricordo un profugo faceva la pizza e con 2 o 3 teglie in spalla andava a piedi fino il paese di Laterina dove il fornaio gli faceva cuocere la pizza, anche loro si erano integrati bene con i paesani.
Arriva il momento di lasciare il Centro profughi. È l’inizio del 1963, mio padre chiede il trasferimento per Roma, anche perché di lì a breve parlavano già della chiusura del campo. Come incominciò nel 1952 con la tristezza di avere lasciato Napoli, incominciò la nostalgia di lasciare il Crp, dove si erano fatte tante amicizie.
Si stette sei anni a Roma, ma il ricordo di Laterina e del campo era sempre forte. Alla fine del 1968, nostro padre ci lasciava, a 52 anni, per malattia. Così decidemmo di ritornare in Toscana, ma non fu più Laterina, il campo profughi come previsto venne chiuso nel 1963, ma il paese vicino, Ponticino, dove degli amici ci trovarono casa.
Ma il destino mi riportava sempre in quella direzione, l’ex Crp che stava diventando zona industriale. Fu lì che trovai, a 17 anni, il mio primo lavoro. Era un calzaturificio costruito dove c’era una volta il campo sportivo, ma durò poco, chiuse e da lì trovai lavoro a Firenze. Con il tempo il calzaturificio venne trasformato in una fabbrica dove facevano forni per la verniciatura delle carrozzerie per auto. Passano due anni che ho il lavoro a Firenze, il sacrificio era tanto, alzarsi alle 5 del mattino, delle volte anche le 4 per prendere il treno. Allora decido di lasciare quel lavoro e trovare qualcosa più vicino. Come sempre il destino mi porta ancora lì, all’ex campo profughi. Trovo lavoro in un altro calzaturificio, questa fabbrica era situata nella baracca n. 1, modificata internamente ma con i bagni come erano una volta. Ci lavoro per diversi anni, finché un giorno viene a lavorare lì una ragazza e con il tempo incomincerà una storia tra noi, ma essendo ancora giovane il padre la riporta a casa. Con il passare del tempo seguo questa ragazza e di lì a poco ci sposiamo. È allora che lascio definitivamente Laterina per trasferirmi a Montalcino, in provincia di Siena, dove trovo lavoro.
Dopo diversi anni sono ricapitato al Campo profughi, ma con grande delusione ho visto di quel luogo dove ho vissuto, nel bene e nel male, non esisteva più. La baracca dove abitavo fu unita alla n. 19 e fatta una fabbrica dove facevano il cartone. La chiesa era diventata una carrozzeria e così come gran parte degli edifici. Una domanda continuo a farmi: quel campo profughi faceva parte della storia dell’Italia, degli italiani, di Laterina e soprattutto degli esuli, le autorità dovevano lasciare qualche baracca, magari come museo nel ricordo di quella gente di ogni paese scampati alla guerra.
Spero che questo racconto da parte mia possa essere d’aiuto per tenere vivo il ricordo di chi e passato da lì.
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Fonte orale e digitale: Paolo Tropea, Napoli 1951, vive a Montalcino (SI), messaggi dal 25 aprile al 29 maggio 2022 allo scrivente.
Documento originale – Paolo Tropea, CRP Laterina, testo in Word, 2022, pp. 31 con fotografie b/n e a colori. Collezione ANVGD di Arezzo.
Ringraziamenti – Per il presente articolo la redazione del blog è riconoscente al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi (AR) e delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo, che ha fornito con la solita cortesia i contatti per la ricerca presso Paolo e Luciano Tropea, andando a incrementare una tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. Si ringrazia, infine, l’autore del memoriale per il testo e le fotografie messi a disposizione della ricerca.
Note – Progetto e attività di ricerca di: Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo. Autore principale: Paolo Tropea. Altri testi a cura di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Paolo Tropea, Luciano Tropea, Claudio Ausilio, oltre a Rosalba Meneghini, Mauro Tonino (dell’ANVGD di Udine) e il professor Enrico Modotti.
Adesioni al progetto: ANVGD di Arezzo e Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie dalla collezione di Paolo Tropea che si ringrazia per la cortese concessione alla diffusione e pubblicazione nel blog presente e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/