Dobbiamo essere orgogliosi, tutti, di chi difese la propria italianità a costo della vita in quei drammatici momenti che seguirono la fine della seconda guerra mondiale e che ogni 10 febbraio si riaffacciano alle nostre menti grazie alla Giornata del Ricordo.
Anche quest’anno Gorizia è stata presente con una cerimonia in Largo Martiri delle foibe a ricordare le vittime della brutale furia Titina e gli esuli costretti a lasciare Istria e Dalmazia per difendere il diritto di essere italiani e l’incolumità propria e della propria famiglia, minacciata da foibe e persecuzioni. Fra quelle persone c’erano anche mia madre e la sua famiglia. I suoi genitori l’avevano chiamata Anita, come la compagna di Garibaldi e il fratello Nazario come l’ irredentista Sauro. Mia nonna una notte preparò due borse con la biancheria per la figlia bambina e altri parenti per una fuga attraverso i boschi e poi via mare organizzata dal nonno. Con il terrore dei cani che abbaiavano e, nascosti nella stiva, dei controlli delle autorità Jugoslave. Una fuga verso la libertà ma con rinunce insanabili. Mia madre non rivide la sua mamma per due anni e poi la famiglia si disperse in giro per il mondo.
Ma tante sono le storie che in questi giorni riemergono. Una, in particolare, mi ha colpito profondamente. Ed è riportata da un Goriziano che l’ha sentita più volte da suo padre e dai suoi zii a testimoniare che c’era una profonda avversione contro gli italiani ancora prima della fine della guerra. È la storia di una bimba di un anno e mezzo, morta per cause naturali, cui non fu possibile trovare una cassa per seppellirla perché il padre era ritenuto “troppo” italiano. Fu lui a costruire con poche assi una piccola bara ma sbagliò le misure e fu costretto a spezzare la gambe della sua piccola per riuscire a sistemarla nella cassa. Si ubriacò per prendere coraggio.
Migliaia sono gli episodi che si possono raccontare ma c’è ancora chi sostiene che è tutta un’invenzione, sia le foibe sia l’esodo. Tutta una finzione lo strazio di chi, dall’oggi al domani, come accade alla mia famiglia, fu costretto ad abbandonare tutto, casa, terreni, ogni avere, per andare letteralmente verso l’ignoto. Dove vivremo, come daremo da mangiare ai nostri figli? Le domande alle quali gli esuli (oltre 300 mila dell’Istria, Fiume e Dalmazia) non sapevano darsi una risposta. La paura delle foibe e persecuzioni indussero i miei nonni da parte di padre e madre, originari rispettivamente di Pola e di Albona, a lasciare tutto. Nonni, zii, cugini sparsi tra gli Stati Uniti, Gorizia, Trieste, Venezia e Napoli, oltre a quelli rimasti in Istria. Una famiglia costretta a recidere le proprie radici, la propria storia, i rapporti con i propri affetti. La nostra famiglia non potrà mai più essere quella di prima.
Sarebbe ora che ciascuno di noi si avvicinasse al dolore altrui con rispetto, senza fini politici, partendo dal riconoscimento di ciò che l’altro ha subito. Ma vedo che la strada è ahimé ancora lunga. Sono orgoglioso delle mie radici, della mia gente e combatterò sempre per tenere alto il loro ricordo e il loro insegnamento.
Rodolfo Ziberna
Sindaco di Gorizia ed ex dirigente provinciale e nazionale Anvgd
Cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo 2022 a cura del Comune di Gorizia, del Comitato provinciale di Gorizia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e della Sezione di Gorizia della Lega Nazionale.
Prima parte: http://www.youtube.com/watch?v=LrebFBmjYvM
Seconda parte: