Il Giorno del Ricordo, voluto dal legislatore italiano per rammentare agli immemori la tragedia giuliana e dalmata, e prima ancora, per promuovere la conoscenza di coloro che non sanno, giunge al quinto appuntamento annuo, con l'ormai tradizionale profluvio di iniziative culturali, religiose, e talvolta anche folcloristiche, in molte città italiane. E' bene non sottostimare il valore di questo ampio fenomeno di suggestiva reminiscenza collettiva,ma nello stesso tempo, puntualizzare in modo realistico il suo limite etico e politico, che del resto è quasi implicito nella definizione.
Ricordare, come suggerisce il Vocabolario Zingarelli che proprio nel 2009 compie cento annidi onorato servizio e che è stato oggetto della nuova recente edizione a cura di PalmiroPremoli, significa, anzitutto, “richiamare alla memoria degli altri od alla propria unavvenimento, una cosa, una persona, un dolore, una gioia”, e così via. Esistono, peraltro,diversi significati affini, come quelli di suggerire, prescrivere, menzionare, commemorare, rimpiangere, desiderare: la lingua italiana non è facile, e propone, come in questo caso, un ampio ventaglio di sfumature, che possono essere complementari.
Nell'intento di coloro che nel marzo 2004 vollero la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, col voto quasi unanime delle Camere italiane, la convergenza di questi significati e di questisentimenti è un fatto indiscutibile, comeemerge da un'attenta rilettura degli Atti parlamentari: in primo luogo, degli interventi di Roberto Menia, il primo firmatario della proposta, cui va il merito di averla promossa e sostenuta,ma nello stesso tempo, in quelli di numerosiesponenti di maggioranza ed opposizione, fino alle soglie di una votazione davvero plebiscitaria (a Montecitorio si contarono appena 15 suffragi contrari).
In effetti, a cinque anni dalla sua istituzione, il Giorno del Ricordo richiede un esame di coscienza, in primo luogo da parte del movimento giuliano e dalmata. Se il suo ruolo è quello di “rammentare”, come si dicevain premessa, non c'è dubbio che l'obiettivo sia stato raggiunto, anche se col passare degli anni bisognerà farei conti col suo progressivo affievolimento e con la necessità di attualizzarlo nei modi più congrui e funzionali;
tuttavia, se lo scopo, come è logico, non doveva limitarsi a promuovere i lamenti criticati da vari esponenti dell'arcipelago esule, ma ad impostare un progetto politico, nell'ambito del “suggerire” e del “prescrivere” messi a fuoco dallo Zingarelli, va detto una volta per tutte che siamo rimasti al palo. Qualcuno ha scritto che il Giorno del Ricordo ha collocato una “pietra tombale” sulle speranze e sugli stessi diritti ed interessi legittimi degli esuli. Può darsi benissimo che nella testa di qualcuno sia esistita ed esista tuttora, nella tradizionale strategia di calmierare e di sopire che è stata seguita per decenni dal potere di ogni colorazione, una riserva mentale di questo genere, ma ciò non significa che il Ricordo non possa e non debba essere oggetto, al di là di conferenze, spettacoli e rimpatriate di vario genere, della più precisa e matura consapevolezza, da parte degli esuli e dei loro eredi, dei valori che stanno alla base del loro movimento, e come si è detto, dei diritti collaterali: tra i maggiori, senza dimenticare gli scopi fondamentali che lo scorrere del tempo non ha vanificato, quello all'equo risarcimento e, quando possibile, alla restituzione dei beni usurpati, e quello alla tutela delle tombe e dei monumenti italiani in Croazia e Slovenia; o tra i minori, quelli alla cancellazione delle permanenti beffe anagrafiche e pensionistiche a danno di chi ebbe il solo torto di amare l'Italia (che rimane sempre la nostra Patria, anche quando si è dimostrata matrigna).
A questo punto, non si può fare a meno di constatare che il Giorno del Ricordo, pur avendo il merito di implementare la memoria, corre il rischio di diventare, più che altro, il Giorno del Rimpianto: non tanto quello, sacrosanto, nella gran parte dei casi attendono ancora una pur tardiva e simbolica giustizia, quanto quello per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, da una parte, per oggettive carenze istituzionali, ma dall'altra, per il ripiegamento di talune Organizzazioni degli esuli su ruoli meramente culturali (o presunti tali) e per le divisioni che ne sono scaturite.
A due terzi di secolo dalla tragedia delle foibe e dal grande esodo, per non dire delle successive e non meno allucinanti vicende, prime fra tutte la vergogna di Osimo ed il riconoscimento “gratuito” di Slovenia e Croazia, è perfettamente logico che non sia più tempo di lamenti, bensì di guardare in faccia la “realtà effettuale”, come avrebbe detto Machiavelli, dando per scontato che l'esercizio non deve essere fine a se stesso, ma costituire
il presupposto dell'azione. In questa ottica, è auspicabile che d'ora in poi, in occasione del Giorno del Ricordo si spargano meno lacrime, tanto più che molti esuli giuliani e dalmati ne hanno esaurito la pur cospicua riserva, ed a seguito di un opportuno ricambio etico e politico, e di una ritrovata e necessaria unità d'intenti, di programmi, ed appunto, di azioni, si persegua un disegno di vera giustizia, nell'omaggio sempre doveroso al sangue dei Martiri, e nell'esigenza di dare un senso attuale alla storia, guardando al futuro con occhio scevro da compromessi e con la forza trainante della volontà che “sposta grandemente la linea del possibile”.
Diversamente, continuando a recitare giaculatorie ormai logore e ad inginocchiarsi passivamente davanti ai Frattini di turno ed ai loro corifei, il Giorno del Ricordo correrebbe il rischio di trasformarsi in un gigantesco “de profundis”, con grande gaudio del giaguaro e dei suoi amici.
CARLO MONTANI