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Riflessi sbiaditi di un’epoca (Voce del Popolo 26mar13)

Terminata la Seconda guerra mondiale, per l’allora Jugoslavia si aprirono anni di ricostruzione del Paese distrutto dalle operazione belliche e di costruzione del nuovo sistema politico, economico e sociale. Ma per gli italiani dell’Istro-quarnerino e della Dalmazia il decennio immediatamente dopo il conflitto fu un momento di rottura traumatica, contrassegnato dall’esodo, che spaccò numerose famiglie, e dalla conseguente necessità di reinventarsi, assumendo l’identità di una minoranza. Ora, a sessant’anni di distanza, una mostra ci invita a guardare a quei fatti con distacco e ironia, dimenticando le questioni politiche, ideologiche e i lati più oscuri.

Dopo aver riscosso un notevole successo a Zagabria, alla Galleria “Galeriji Klovićevi dvori”, arriva anche a Pola la rassegna “Riflessi di un’epoca. 1945-1955”, curata da Jasmina Bivoljak, che fa rivivere le atmosfere di un movimento che per la storia dell’arte coincide con la formazione del socialismo realista (1945-1950), rispettivamente della sua destrutturazione (1950 -1955). Stasera alle 20 l’inaugurazione della mostra polese, allestita nello spazio espositivo dei Sacri Cuori.

Cronologico e tematico il percorso ideato dalla Bavoljak: abbraccia l’arrivo dei partigiani e l’affermazione del nuovo potere popolare; quindi passa per la ricostruzione del Paese, in buona parte ad opera delle brigate di lavoro “volontario”, organizzate dal partito e dai sindacati, inizialmente nel periodo della ricostruzione del dopoguerra; per soffermarsi nel particolare sulla figura del presidente Josip Broz Tito, la sua trasformazione, il culto della personalità, il mito. Questi gli ambiti tematici: “Da pionieri a gioventù” (socialista, ndr); “Da soldati a lavoratori d’assalto”, “Da compagne a signore”, “Da maresciallo a dandy”, “Da est a ovest”, “Dalle parate alle code nei negozi”, “Dal fucile al sassofono”, “Dalla radio alla televisione” e “Dal lavoro alla società del benessere”.

Un evento multimediale, che propone 483 oggetti, oltre 100 immagini, tra disegni, quadri, incisioni, e poi ancora sculture, fotografie, filmati, innumerevoli oggetti personali appartenuti a Tito, medaglie, staffette, libri, riviste, francobolli, orologi, regali – alcuni curiosissimi –, uniformi e abiti, cravatte, guanti, gioielli e album fotografici. Tra le “chicche” artistiche, il ritratto realizzato da Marino Tartaglia a Tito in uniforme da maresciallo e il dipinto di Edo Murtić su Fiume del 1947, la scultura di Augustinčić, collocata a Plitvice e negli anni Novanta imbrattata con vernice bianca da ignoti. La stragrande maggioranza dei reperti proviene dal Museo della storia della Jugoslavia di Belgrado, ma ci sono prestiti di musei, gallerie d’arte ed enti dii città da tutta la Croazia: Ragusa (Dubrovnik), Spalato, Osijek, Villa di Brioni, Fiume, Pisino, Zara, Kumrovec, Zagabria…

“Quando leggeranno la storia della lotta per il socialismo, le nostre generazioni future non avranno di che vergognarsi”, recita un passo del Programma del Partito comunista jugoslavo. È andata davvero così? E qual è l’eredità di quell’epoca, di cui oggi andar fieri? Dopo la liberazione Tito riuscì a evitare due situazioni potenzialmente “pericolose”, che avrebbero potuto privarlo del potere: una dall’esterno, con l’ingerenza di Stalin e, l’altra dall’interno, con la dissdenza di Đilas. Il suo storico “no” al primo e l’esser riuscito a evitare il conflitto armato con l’Unione Sovietica e i suoi satelliti gli diedero credito in ambito internazionale. L’economia jugoslava uscì dall’isolamento, si forzò la modernizzazione, anche se la LPL, Tito, l’unità e la fratellanza dei popoli e l’autogestione rimasero dei tabù difesi con il ricorso all’apparato repressivo e con una martellante propaganda di regime.

Alla fine l’impianto si sgretolò, crollando muro dopo muro, lasciando dietro di sé null’altro che dei riflessi sbiaditi. Un amarcord? La mostra cerca di affrontare questa pagina di storia in modo obiettivo, spassionato, lasciando spazio a una pluralità di interpretazioni, e a diverse visioni del passato. Anche per riflettere da più lati su alcune questioni che, tutto sommato, appaiono ancora oggi irrisolte.

(fonte “la Voce del Popolo” 26 marzo 2013)

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