Tornerà a Bolzano Egea Haffner. Ci sarà la sua voce di oggi e l’immagine di ieri. Che è diventata la fotografia simbolo dell’esodo giuliano dalmata. «Fu mia zia – ricorda – a prepararmi il vestito di seta che vedete. Era quello della domenica. Mi fece anche i ricci nei capelli e poi lo zio portò la valigetta. Quella con su scritto “esule giuliana numero 30001″». E fu così che Egea, il suo ritratto spaurito, le scarpette bianche della festa, divenne l’esodo stesso nella percezione collettiva. Sulle pagine di ogni giornale, sui manifesti del ricordo, sui libri, nella memoria dei reduci di quel dramma. Egea Haffner ora vive a Rovereto e nella foto con la valigia in mano era in attesa dell’imbarco verso l’Italia. Lei giunse anche a Bolzano e vi stette per un periodo. Fu accolta, come tutta la sua comunità. E ora ci ritorna. E il monumento sarà di nuovo la sua casa.
Basterà recarsi sulle passeggiate del Talvera, verso ponte Druso, al nuovo monumento del Ricordo. «Un lavoro complesso di storicizzazione che ora passa anche attraverso la tecnologia» dice Giorgio Mezzalira, che è stato incaricato dal Comune con anche, tra gli altri, Raoul Pupo, massimo esperto di quei fatti e Johann Gatterer, di predisporre una serie di pannelli illustrativi in grado di inserire l’esodo, la cacciata e il viaggio di 400 mila e più italiani del confine orientale, dentro la più vasta cornice storica di quei decenni.
Fuoriusciti da una millenaria appartenenza alla Serenissima, dalla presenza di popolazioni slave e di varia provenienza, ma anche dai più recenti conflitti mondiali. Il primo, che ha sancito i nuovi confini a Fiume, passando attraverso le repressioni nazionalistiche fasciste delle minoranze slovene e la seconda guerra, la quale ha a sua volta intensificato lo scontro etnico, prima con gli orrori del nazifascismo, poi con le vendette titine culminate con le foibe.
Codici QR e pannelli sono parte integrante della riqualificazione architettonica cui è stato fatto oggetto il piccolo monumento all’esodo sul Talvera.
E l’intervento del gruppo di ricercatori, proprio come è accaduto alla Vittoria e più esplicitamente in piazza Tribunale davanti al bassorilievo del duce a cavallo, va proprio sull’onda di quel vasto intervento di contestualizzazione che Bolzano ha deciso di attuare per “pacificare” presenze prima molto divisive.
Giorgio Mezzalira, cosa si legge in quel monumento?
Ci sono due aspetti. Il primo è che resterà la targa istituzionale, quella già lì, sulla vecchia lapide. Parla del lascito alla città, in termini di presenza e di cultura, di quei profughi che ora si sono inseriti nel tessuto bolzanino. E del loro dramma di esuli. Poi c’è il nuovo lavoro.
È una storicizzazione?
Sì , ed è stato un intervento più complesso. Si tratta di una serie di schede che potranno essere visualizzate dal cellulare col codice QR. Il focus è naturalmente l’esodo. E per farlo ci siamo serviti degli studi e delle fonti più approfondite. Come l’Istituto regionale del movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia, di quello trentino e del fondo istriano dalmata presente nell’archivio storico del Comune.
Ma negli ultimi tempi la riflessione su quel periodo si è arricchita anche di contributi meno evocativi e di varia provenienza, anche slava…
Si è tenuto conto proprio di questa evoluzione. Anche nell’uso delle fonti da cui sono uscite le schede divulgative.
E come si è usciti dalla strettoia di una visione italocentrica e a volte nazionalistica dell’esodo e dall’altro estremo, da una banalizzazione di quelle vittime, da una sorta di minimalismo storico, sia nei numeri dei morti nelle foibe che intorno alla responsabilità politiche?
Proprio aprendoci alle fonti. Offrendo dei dati. Il punto di riferimento è stata la ricerca storica più autorevole. Proprio per sfuggire dalla morsa delle strumentalizzazioni si sono descritti gli eventi partendo da una cronologia che si avvia nel 1919 per terminare nel secondo dopoguerra. Senza tralasciare la millenarie presenza di quelle popolazioni venete e italiane ad est ma neppure le persecuzioni delle minoranze slovene dopo la prima guerra e il fascismo, con, successivamente, anche gli eccidi nazifascisti.
E poi ci sono le foibe, che è complicato togliere dal dibattito di oggi, molto politico…
La cosa che ci è parsa migliore è mettere nelle schede i suoi numeri. I morti, le stime, la pulizia non solo politica ma anche etnica che affiora da quelle violenze da parte dei nuovi vincitori. Tutte le domande che lo meritavano hanno ottenuto una risposta. La più onesta possibile, evitando le strumentalizzazioni politiche che hanno accompagnato quel dramma.
Sono risposte che lasciano anche un margine interpretativo?
Quello rimarrà sempre. Ognuno potrà continuare a rivendicare la custodia di una memoria, anche di una propria memoria, pur dentro una analisi storico scientifica per quanto possibile esauriente.
Ma poi ci sono gli esuli, soprattutto quelli che hanno trovato una nuova patria a Bolzano, le loro storie, no?
Il vissuto delle persone è comunque centrale. Si tratta di persone che sono state costrette ad abbandonare case in cui vivevano le loro famiglie da tanti anni, spesso da secoli. Al di là delle colpe e delle responsabilità questa è la vera memoria. La loro. Ci sarà anche la voce in diretta di Egea Haffner, che ora vive a Rovereto e che è la bimba-icona dell’esodo, con il suo vestito della festa e la valigetta di esule giuliana, ferma e seria in attesa dell’imbarco verso l’Italia. Lei giunse anche a Bolzano e vi stette per un periodo. Fu accolta, come tutta la sua comunità.
E ora ci ritorna?
Certo. E quel monumento sarà di nuovo la sua casa.
Intervista di Paolo Campostrini a Giorgio Mezzalira
Fonte: Alto Adige – 09/02/2022
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