TRIESTE – Un cittadino del mondo, un testimone del tempo che cambia, un uomo diviso tra molteplici e nessuna appartenenza, questo il ritratto della figura dello scrittore Fulvio Tomizza delineato a dieci anni dalla sua scomparsa attraverso multiculturalità, senso di appartenenza e soprattutto riscoperta delle origini per conoscere la propria identità. Questi i temi che si sono intrecciati negli interventi dei relatori nel corso del Forum Tomizza che si è svolto ieri a Trieste, presso la sala Tessitori di Piazza Oberdan. Forum che prosegue oggi con gli appuntamenti in programma a Capodistria, Buie e Umago, e che si concluderà sabato ad Umago con la commemorazione sulla tomba dello scrittore. Sono intervenuti al simposio: Sanja Roić, Elis Deghenghi Olujić, Marta Moretti, Marino Vocci, Livio Dorigo, Petra Orlić e Fulvio Senardi; Presenti in sala anche Laura e Franca Tomizza. “Chi perde la propria identità è in balia di un soffio di vento, chi è ancorato alle proprie radici è una persona forte – ha affermato Livio Dorigo –, capace di avere una cognizione di se stesso, in un’Europa e in un mondo sempre più orientati verso la multietnicità”.
Recuperare le radici
Ed è proprio per questo che il recupero delle proprie radici, della propria cultura e della propria identità è fondamentale, per rompere le barriere attraverso l’arma della tolleranza e dell’umiltà, virtù oggigiorno quasi sconosciute, ma tratti salienti di personaggi come Fulvio Tomizza e Guido Miglia. “Ero un’istriana imperfetta – ha proseguito Elis Deghenghi Olujić –. La mia Istria l’ho riscoperta grazie alle opere di Tomizza, ed è per questo che il suo messaggio deve essere quanto mai rivolto ai giovani, per affermarsi e resistere come antidoto verso nuove chiusure. Sono certa del peso che comporta la sua assenza oggi, un uomo che avrebbe qualcosa da dire, un uomo con il suo pesante bagaglio di sensi di colpa, testimone di tragedie etniche ed individuali, e del prezzo che si paga per gli orrori della storia, che si ripercuotono su microcosmi come quello istriano o materadese, grovigli che non ti permettono di sentirti in pace”. “Ricordo il primo Forum – ha affermato Sanja Roić –, quello del Duemila, un momento per dire addio increduli, un momento di riflessione che mi ha spinta a cercare in Tomizza una via per rigenerare molti schemi di insegnamento, offrendo un corso su Trieste e la sua letteratura e realizzando viaggi di studio”.
Gli autori di «casa nostra»
“Attraverso Tomizza ho riscoperto le mie origini e la mia terra – ha commentato Petra Orlić, studentessa di italianistica presso l’Università di Zagabria –, pur essendo istriana non conoscevo molti aspetti legati a queste zone, ma soprattutto autori così vicini alla nostra realtà, capaci di raccontarla, ma soprattutto di trasmetterla. Nelle scuole purtroppo ci si sofferma molto sui grandi autori, le cui opere vanno assolutamente studiate, ma purtroppo si insiste poco sugli autori vicini alle nostre terre, alla nostra realtà. Non conoscere tali autori lascia un vuoto, un vuoto che fortunatamente sono riuscita a colmare, leggendo Tomizza, sanando le lacune della mia identità”. “Il mio ultimo ricordo legato a Fulvio è quella piovosa giornata di maggio – ha proseguito Marino Vocci –. Le robinie del suo orto erano grondanti d’acqua e sembrava che piangessero anche loro. È stato un tollerante e umile testimone di profondi cambiamenti, è stato capace di raccontare il dramma istriano con tratti leggeri quasi rispettosi delle storie degli altri.
«Etica delle frontiere»
Molte persone sembra che crescano e vivano nelle divisioni e nell’ignoranza, abituandosi ad uno scenario di separatezze che sembra dominare in tutti i contesti. Bisogna ritrovare il reciproco rispetto, ma soprattutto la reciproca conoscenza per poter superare le barriere, assieme alla necessità di riscoprire una sorta di ‘etica delle frontiere’. Il confine può essere una barriera, ma può rappresentare anche un luogo d'incontro per uno scambio, un simbolo per favorire un reciproco arricchimento. Emblematica una frase di Tomizza del 1980: ‘Sono caduti i pregiudizi, ma c’è ancora tanta freddezza’. Ho conosciuto Tomizza grazie a Guido Miglia, e devo dire che per me tale incontro ha avuto un significato terapeutico. Fino agli anni sessanta a Trieste essere istriano era una vergogna, era un’identità negata, era un’immagine bassa e stereotipata alla ‘Barba Toni sparagnino che è arrivato a portare via il lavoro ai triestini’. È stato il nostro incontro a spazzare via questa vergogna e a far scattare in me l’orgoglio di essere istriano, permettendomi di riscoprire la mia identità. Oggi secondo me il passo importante da fare in questo senso è quello di passare da un processo di multiculturalità ad un processo di interculturalità, che non è un processo scontato, anzi”.
Impegno civile e morale
“Possiamo prendere Tomizza da ogni lato – ha concluso Fulvio Senardi –, ma quello che risalta maggiormente è l’impegno civile e morale che ce lo fa amare, oltre a quanto sia utile ed auspicabile il suo impiego pedagogico nelle scuole. Sarebbe interessante immaginare cosa direbbe di tante questioni di carattere quotidiano, in un mondo fatto di globalizzazione, o semplicemente nella Trieste di Via Granbassi, una città che continua ad avere difficoltà nell’accettare la propria identità”. Tomizza ha raccontato l’Istria e gli intrecci esistenti tra italiani, croati e sloveni. Era uno “scrittore di frontiera” a cavallo tra mondi diversi a cui sentiva di appartenere. Un discorso poco in linea con le dinamiche di queste aree, che cercano di imporre alle persone identità nette e non contaminate. Quella dell’identità multipla in queste zone, sembra ancora essere un tabù. Il dialogo su Tomizza e sulla sua opera, quindi, può essere una via per promuovere diversi spunti di riflessione: “Vivere il destino di frontiera, dura fatica del migrante”.
Guido Giuricin