Zara, Loggia cittadina, i Borelli: l’antica famiglia torna protagonista con il suo lascito, che l’erede del casato, il conte Goran Borelli, offre in riscatto alla comunità zaratina, rispettivamente al Museo popolare – Museo civico. Sono testimonianze del ricco e complesso passato, di cui una parte è stata esposta e sarà visitabile fino al 21 giugno. Per numero di oggetti, provenienza e varietà di contenuti si tratta di una collezione unica nel suo genere, preziosissima per la storia di Zara, considerato soprattutto il ruolo ricoperto nei secoli dal casato in questione, uno tra i più influenti in Dalmazia. Diedero sindaci, condottieri, artisti e persino deputati regionali a Vienna, al Consiglio
imperiale.
La mostra è stata allestita nello spazio della Loggia – inaugurata il 2 maggio scorso, alla presenza del direttore del Museo, Renata Peroš, del curatore Hrvoje Perica, del rappresentante della famiglia, Filip Borelli (figlio di Goran), e dell’accademico, storico dell’arte, Radoslav Tomić – con l’obiettivo precipuo di sottrarre dall’oblio, valorizzare e in un certo senso tutelare i tanti tasselli dell’immenso patrimonio culturale di Zara, nonché far conoscere al pubblico più vasto ciò che è (più che) degno di cura e attenzione per l’impatto avuto sulle vicende storiche e politiche dell’area.
La Regione di Zara e il ministero della Cultura della Repubblica di Croazia hanno riconosciuto l’importanza e la validità del progetto e hanno stanziato i fondi necessari per procedere all’acquisizione del lascito Borelli. L’operazione verrà completata nell’arco di circa tre anni e alla fine tutta la collezione confluirà nel futuro “Museo 2 palazzi” – per il momento indicato come Centro del patrimonio –, che appunto sarà allestito in due edifici: il Palazzo ducale e quello del Provveditore generale.
I Borelli: famiglia italiana? Certo, in quanto a origini. Va detto che il cognome Borelli è praticamente panitaliano, ma è diffuso perlopiù nel nord e centro-nord, con ceppi secondari anche nel sud, soprattutto nel Catanzarese e nel Leccese, nonché nel Lazio. A quanto pare i Borelli di Dalmazia sono di derivazione normanna; affondano le proprie radici nel Bolognese, da dove giunsero nella regione adriatica oltre 300 anni fa. Da rilevare che è una famiglia nobiliare antichissima, medievale, le cui prime tracce scritte risalgono al XII secolo, contenute nell’atto di donazione di alcune proprietà alla Chiesa.
L’Archivio di Stato di Zara, che conserva ancora quello della famiglia, contiene documenti che vanno dal XV al XIX secolo. Va anche rilevato che, una volta trapiantata in Dalmazia, via via l’identità dei Borelli cambierà, assumerà i connotati tipici di questa terra complessa e burrascosa, non solo dal punto di vista politico e sociale, ma anche etnico, avvicinandosi sempre più, nel Novecento – almeno una delle diverse anime dei Borelli – alle istanze croate.
Se Francesco de Borelli (1810 – 1884, il suo nome completo era “Francesco de Borelli di Wrana”, così come risulta nel libro “Discorsi di Biagio Barone de Ghetaldi e di Francesco Conte de Borelli di Wrana pronunziati nella solenne inaugurazione della Società agronomica centrale di Zara”, 1850) fu uno dei capi del partito autonomista, nonché grande proprietario terriero, un Manfred Borelli Vranski (1836 –1914), nato a San Filippo e Giacomo e morto a Zara, viene invece ricordato in Croazia come esponente del Partito nazionale croato, nonché gran propugnatore dell’insegnamento in lingua croata nelle scuole. I Borelli di oggi, quelli rimasti in Croazia, si dichiarano croati.
La mostra e la collezione consentono di tracciare il percorso interessante di una famiglia, di un territorio nella sua evoluzione. Capostipite del ceppo dalmata dei Borelli è Bartolomeo, che all’età di 16 anni insieme con il fratello 17.enne, si spinge fin qui per combattere contro i Turchi, come ci racconta telefonicamente Goran Borelli, ingegnere, manager oggi in pensione, che vive a Zagabria, e che purtroppo non ha potuto, per motivi di salute, intervenire all’apertura della mostra zaratina. È stato lui che ha portato la collezione da Belgrado – dove la famiglia si era trasferita in epoca mussoliniana –, nella capitale croata e quindi ne ha proposto il riscatto al Museo popolare di Zara.
Un giovane coraggioso e audace, Bartolomeo, che si spinse con le armate cristiane fino al Peloponneso. Qui conobbe la sua futura moglie, dalla quale ebbe ben cinque figli, ma uno solo sopravvisse fino a età matura. Bartolomeo fu anche catturato dal nemico, ma la famiglia pagò il riscatto (500 ducati) e tornò libero. Bartolomeo però si era fatto conquistare dalla Dalmazia, da questa terra che agli occhi degli Occidentali appariva come un mondo esotico e primitivo, ai margini della civiltà. Finì col vendere tutti i suoi averi e si trasferì “sull’altra sponda” dell’Adriatico. Bartolomeo fece una bella carriera militare, divenne comandante della fortezza di Tenin (Knin) e trascorse gli ultimi 10 anni della sua vita come alchimista! In seguito i conti Borelli vennero infeudati a Vrana da Venezia nel XVIII secolo; fra i loro possedimenti c’erano vari appezzamenti anche nella zona di San Filippo e Giacomo, dove fecero costruire una magnifica villa con parco, tuttora “in situ” (e dove tutt’oggi i discendenti del casato s’incontrano d’estate, come ci dice sempre Goran Borelli).
E Francesco, figlio di Bartolomeo, si dedicò parecchio allo sviluppo del feudo di Vrana e lasciò dietro di sé un memorandum con tutti i provvedimenti che, a suo avviso, andavano fatti per sottrarre la terra all’arretratezza. Per la presenza del lago e a causa delle frequenti inondazioni il terreno era paludoso, era diffusa la malaria, le condizioni di vita erano davvero impossibili. Ma la terra, così credeva, poteva diventare fertile: sarebbe bastato costruire un canale che collegasse il lago con il mare. E cercò di realizzare l’idea, in sodalizio con altri partner. Nel 1777 stipulò un contratto con Venezia, che prevedeva la realizzazione dell’opera in 10 anni. La Repubblica, però, non rispettò i patti, nel senso che mancò a certi suoi obblighi e il progetto slittò. Nel frattempo alla Serenissima subentrò l’Austria, che confermò al Borelli il titolo di “conte di Vrana”. Fu la sua vedova, una Nassi, a portarlo a termine nel giro di tre anni.
Andrea de Borelli fu nominato podestà di Zara nel 1812; di idee filofrancesi, si suicidò quando la città passò agli austriaci. Suo figlio Francesco, che all’Austria fece causa per la confisca di certi immobili (la causa si trascinerà per ben 32 anni), diventerà deputato al Consiglio dell’Impero “rinforzato” da rappresentanti regionali. Con la patente del 5 marzo 1860 fu concesso ai popoli dell’Impero di partecipare alla vita politica governativa. Nella sessione consiliare del settembre 1860 scaturì la questione dell’annessione del Regno di Dalmazia a quello di Croazia, annessione che fu richiesta dai rappresentanti croati, tra cui si distinguevano il vescovo Josip Juraj Strossmayer e il conte Ambroz Vranyczany.
Quando il Borelli si recò a Vienna per discutere con l’imperatore sul destino della Dalmazia, si contrappose fermamente alle tesi annessioniste croate, e insorse. Parlando in italiano, affermò con
decisione: “Nego che alcuno abbia diritto di sorta sulla Corona del Regno di Dalmazia”. Un fatto particolare che amareggiò il conte Borelli fu la scelta fatta dal figlio Manfredi di militare nel
partito croato annessionista.
Tornando alla collezione Borelli, questa è variegata e si può suddividere in alcune parti tematiche. A predominare, comunque, sono i ritratti di famiglia, realizzati tra il XVIII e il XX secolo. I dipinti raffigurano i diversi membri della famiglia nel periodo della sua ascesa economica, politica e culturale. In pratica, sono i volti di alcuni dei protagonisti della società zaratina e dalmata dell’epoca. Nella stragrande maggioranza dei casi sono sconosciuti gli autori delle miniature, ma ciò nulla toglie al valore storico dei ritratti, tanto più che ci fanno conoscere quasi tutta la galleria dei personaggi della dinastia. Si parte dal capostipite del ceppo dalmata di Borelli, Bartolomeo e si va avanti fino a Manfredo II e Mirko Borelli, padre di Goran, quindi si arriva alla metà del Novecento. E anche questo fatto, piuttosto raro, rende unica la collezione Borelli; infatti, non si hanno notizie di altre famiglie nobiliari e patrizie dalmate che abbiano conservato al completo i ritratti dei propri appartenenti in un solo luogo. Tra i dipinti merita particolare attenzione quello fatto a Francesco Borelli e alla moglie Antonia, nata Cattani Jorjeti. L’opera porta la firma di Giovanni Squarcina (Zara, 1825 – Venezia, 1891), pittore di composizioni religiose, di scene di genere e di ritratti, attivo a Zara, Roma, Spalato e Venezia.
Altrettanti preziosi i documenti. Tra questi c’è lo splendido diploma universitario – è rilegato in pelle, decorato e completato pure questi con un ritratto – conseguito a Padova dal nobile zaratino Gregorio Calcina nel 1646 (il casato si estinguerà nel XVIII secolo). Si possiedono pochissimi diplomi simili in Dalmazia, e sono relativi al tardo XVII secolo e ai primi decenni del Settecento; al Museo archeologico di Spalato si trovano quelli dei Doimi e dei Radossi.
Ci sono poi due fascicoli di documenti – l’albero genealogico della famiglia, contratti, diplomi, atti, e tra questi alcuni relativi all’infeudamento, rilasciati prima da parte dell’autorità di Venezia e dal doge, quindi confermati dall’Austria nel 1818, del territorio di Vrana, di cui i Borelli diventeranno conti –, disegni e cartine delle loro proprietà, realizzate dall’ingegnere militare veneziano Giovambattista Lodoli, manoscritti, libri – e tra questi spicca l’edizione viennese del “De regno Dalmatiae et Croatiae” di Ioannis Lucii (Giovanni Lucio), alias “O kraljevstvu Dalmacije i Hrvatske” di Ivan Lučić –, fotografie… E costituiscono davvero una chicca anche i timbri massonici della Loggia di Zara, tanto più che Andrea de Borelli era Venerabile della Loggia Massonica.
Insomma, sono tracce che fanno rivivere età diverse, dalle quali si può capire come una parte della società dalmata viveva, come pensava, come agiva… Tra gli oggetti figura anche un modellino in gesso che riproduce il portale di Palazzo Borelli, costruito nel XIX secolo in Riva, distrutto durante i bombardamenti alleati che, sul finire della Seconda guerra mondiale, si abbatterono su Zara trasformandola nella Dresda dell’Adriatico. Le macerie dell’edificio furono rimosse dalle nuove autorità – oggi al suo posto c’è un’area verde – e con esse finirono per essere rimosse anche le testimonianze di un passato nobile. Che la città di oggi desidera recuperare, far conoscere e valorizzare, perché fa parte della sua identità.
Ilaria Rocchi
“la Voce in Più” / suppl. de “la Voce del Popolo” 11 maggio 2013