di MAURO MANZIN
TRIESTE Dopo il crollo del Muro di Berlino, la fine della Cortina di ferro e la dissoluzione dell’ex Jugoslavia è solamente la «cornice» europea quella in grado di reggere il peso dei nuovi assetti geopolitici. L’ambasciatore Sergio Romano non critica la posizione espressa dal presidente della Repubblica slovena, Danilo Türk sull’inutilità di un discorso di riconciliazione tra Roma e Lubiana quando entrambe sono parte integrante della grande casa europea. Anzi ribadisce che la «diplomazia non si fa con i pellegrinaggi». Per quanto riguarda il silenzio dello stesso Türk sul dramma delle foibe Romano rimanda la domanda al presidente della Repubblica di Slovenia.
Ambasciatore Romano come valuta le dichiarazioni del presidente sloveno Türk dopo la proposta del capo dello Stato croato di avviare un processo di riconciliazione tra Italia, Croazia e Slovenia alla luce dei tragici fatti della Seconda guerra mondiale?
«Ho l’impressione che ci siamo infilati in un labirinto in cui non è per nulla necessario infilarsi. Non credo che sia necessario chiedersi reciprocamente perdono. La tesi del capo dello Stato della Slovenia mi sembra assolutamente perfetta. Slovenia e Italia sono nell’Unione europea, la Croazia è un Paese candidato e verrà ammessa nell’Ue non certo sulla base di cerimonie di riconciliazione o di reciproche espressioni di perdono. Verrà ammesso sulla base di altri criteri visto che è già considerata potenzialmente un candidato e nessuno le vuol fare l’esame del sangue».
Allora come procedere?
«Basta, mi pare che il fatto stesso che questi Paesi siano destinati a ritrovarsi, prima o poi, all’interno di una stessa organizzazione vuol dire che, quale che sia stato il loro passato, queste hanno ormai caratteristiche simili. Non mi pare che ci sia in nessuno di questi tre Paesi un risorgere di nostalgie per il passato che li ha coinvolti. Per cui basta. Chiuso».
Perché però poi il presidente sloveno Türk chiede all’Italia una maggiore attenzione verso i crimini fascisti riferendosi ai campi di prigionia di Gonars e di Arbe e non fa alcun cenno al dramma delle foibe?
«Non lo so, questo dovete chiederlo a lui. Io ho detto che la prima parte della dichiarazione del presidente sloveno mi è sembrata impeccabile e ho anche detto che ritengo questo tipo di cerimonie non particolarmente utili. Questi tre Paesi hanno avuto le esperienze che sappiamo. Ne sono usciti, tutto sommato in tempi diversi ma piuttosto bene perché i loro regimi adesso sono democratici, c’è una sorta di affinità determinata oltretutto dal fatto che la storia non è solo composta da brutte pagine ma anche a volte di altre pagine, la vicinanza crea collegamenti per la consanguineità e crea mille rapporti di varia natura e di vario genere. E per di più questi Paesi si ritroveranno tutti all’interno dell’Unione europea. Allora questi pellegrinaggi non appartengono alla vera diplomazia».
Però la Slovenia ha vosto il veto al processo di adesione della Croazia all’Unione europea per la questione relativa alla definizione bilaterale dei confini…
«Beh, questo è un altro discorso. Non ha niente a che fare con il passato. Anche la Francia per molto tempo era contraria all’ingresso della Spagna nella Comunità europea, come si chiamava allora, per ragioni soprattutto di flotta peschereccia, di problemi marittimi. Ma poi quei problemi sono stati negoziati e sono stati risolti. Ed è giusto che si negozi di problemi marittimi anche tra Slovenia e Croazia e che il tutto venga risolto bilateralmente prima ancora di porre il problema all’Unione europea, ma questo è un discorso solo politico fra Paesi che possono avere interessi diversi, ma se c’è la volontà di risolverli un compromesso lo si trova».
Trieste saprà metabolizzare i 40 giorni dell’occupazione titina?
«Io credo che lo abbia già fatto e che se qualcuno non l’ha ancora fatto è in ritardo sui tempi».