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Romanò racconta Furco da Pisino (Il Piccolo 13 lug)

È l’alba del 24 gennaio 1941 e i colori fascinosi del deserto cirenaico contrastano tragicamente con la realtà di quei cadaveri disseminati qua e là sulla sabbia. Con un simile scenario dal forte impatto emotivo inizia il nuovo romanzo del triestino Ezio Romanò intitolato «Furco. Vita da superstite» (Franco Rosso editore, collana Testimonianze, pagg. 187), libro presentato nella sala riunioni della Lega Navale, dal critico Sergio Brossi che ne ha firmato anche la prefazione. Presente, con l’editore, l’autore che ha letto alcune pagine del primo capitolo, schiuso appunto, ai giorni drammatici di quel gennaio ’41, allorchè a Tobruk ha inizio la prima sanguinosa disfatta italiana.

Ed ecco, tra i cinque superstiti di un caposaldo italiano, il tenente di completamento Riccardo Maglini, soprannominato Furco: ventisei anni, alto occhi azzurri, laureato in matematica a Pisa.

Furco – ha sottolineato Brossi – potrebbe essere idealmente un figlio di Adele (la protagonista che dà il titolo al romanzo d’esordio di Romanò, uscito nel 2007), anche se Adele era a Cormons, mentre Furco proviene da Pisino d’Istria: personaggio sostanzialmente il destino di tanti giovani coinvolti in quella sciagurata guerra.

Fatto prigioniero dagli inglesi, inviato in India alle pendici dell’Himalaya, Furco rientra in Italia, a Trieste, nel 1946, prostrato nel fisico e nell’animo. Gli sembra che tutto gli stia crollando addosso: anche Laura, l’amore, è perduta per sempre, sposatasi con un altro. L’alcol diventa allora per lui il rifugio più rassicurante, ma nonostante sia ormai un alcolizzato, non viene meno in lui quel fervore patriottico che lo anima, tanto da farlo diventare non solo protagonista di infinite risse in numerose osterie cittadine, ma anche strenuo sostenitore del ritorno di Trieste all’Italia: sempre in prima linea in quei giorni convulsi del ’53, in piazza San Antonio, come in piazza dell’Unità.

Attento a vivisezionare la personalità della sua creatura narrativa, Romanò – già dirigente alla Fincantieri, ora docente universitario a contratto, in finanza aziendale, passione per il volo, e per le lunghe marce motivate da sentimenti religiosi, come quella del «Camino di Santiago de Compostela» –, Romanò dunque, segue passo passo la vita di Furco, protagonista di avventure erotiche, ma anche meritevole nella sua professione di insegnante, tanto da essere chiamato a partecipare a congressi di alto livello scientifico.

Il contenuto del libro si accentra soprattutto negli anni ’50, a Trieste: anni che l’autore, allora adolescente, ricorda con affettuosa nostalgia, capace talora di strizzare l’occhio divertito su alcuni personaggi minori presenti nel romanzo e realmente vissuti all’epoca, come il farmacista Polverina, il medico Occhio clinico, il venditore d’auto usate Toio scimmiotto, e altri.

Romanzo, «Furco. Vita da superstite» che sa coinvolgere sino alla conclusione alla quale Ezio Romanò – un autore, ha detto Brossi, che si colloca a pieno titolo nei ranghi della pattuglia degli scrittori giuliani — ha voluto imprimere il segno di un sottile, doloroso romanticismo.

Grazia Palmisano

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