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Rupel: dopo il Muro c’è da fare l’Europa (Il Piccolo 26 lug)

Ex ministro degli Esteri della Slovenia, Dimitrij Rupel è stato protagonista ieri di un incontro al Mittelfest di Cividale, dove ha dialogato con il giornalista Toni Capuozzo. Pubblichiamo un ampio stralcio del suo intervento scritto per il volume ”Prove di Muro”, per gentile concessione.

di DIMITRIJ RUPEL

L’anno 1989 ha avuto inizio – se non erro – già nel 1975 con l’Atto conclusivo di Helsinki ovvero con l’inizio della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (Csce), evolutasi in seguito nell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce).

L’Atto di Helsinki, nonostante avesse limitato il concetto dell’autodeterminazione dei popoli, lo attualizzò, risvegliando cosi l’interesse per i diritti umani e scatenando gli sconvolgimenti politici nell’Europa centrale e orientale, compresa la Jugoslavia e l’Unione Sovietica.

Nel 1975 è uscito, in seguito a diverse serie complicazioni, anche il mio romanzo ”Hikvadrat”, che trattava la polemica con il regime e soprattutto con l’Armata popolare jugoslava, la quale – com’è ben noto – svolse il ruolo principale nell’ultimo tragico atto del dramma jugoslavo iniziato con la caduta del Muro di Berlino e protrattosi per un intero decennio. La Jugoslavia celava molto bene i propri difetti negli anni Settanta e – similmente agli altri Paesi ex-comunisti – investì molto in un’immagine forte e tenace. Quegli anni venivano chiamati anni di ferro e addirittura periodo della restalinizzazione. Negli anni Ottanta la disciplina finì col cedere, mentre i comunisti lentamente si scoraggiarono.

Il nove novembre 1989 è caduto il Muro di Berlino, l’undici settembre 2001 invece sono crollate le Torri Gemelle del Wtc. Nel 1990 si riunirono la Germania dell’Est e la Germania dell’Ovest, il 1991 è segnato dallo sfascio della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica. In seguito a questi eventi rivoluzionari, denominati come la fine della guerra fredda o addirittura la fine della storia, l’inizio del conflitto delle civiltà «il mondo è comunque diverso». Nasce spontanea la domanda se l’attacco terroristico (2001) sia stato una risposta all’assalto degli attivisti (1989). Il significato della rivoluzione dipende dall’ampiezza della visione: per alcuni, in Occidente, il mondo della stabilità e della sicurezza è crollato, mentre per altri, in Oriente, è arrivata la liberazione. In ogni caso si tratta di un periodo di disfacimento, di sfascio (Unione Sovietica, Jugoslavia) e di riorganizzazione del mondo costruito dopo il secondo conflitto mondiale. La Nato e l’Ue si sono ampliate, ha avuto inizio il dibattito sulla riforma dell’Onu. Gli eventi rivoluzionari hanno favorito ovunque lo sviluppo economico e culturale, la crescita del benessere e l’affermarsi di grandi aspettative. Questa ascesa dura quasi da vent’anni. La Nato ha 26 Stati membri, l’Ue ne ha 27, l’OSCE invece 56. L’Onu sta affrontando le tematiche del dibattito sulla riforma del Consiglio di sicurezza, che e ancora oggi l’espressione dell’equilibrio delle forze dominanti del 1945. Quali progetti non sono ancora realizzati? I Balcani, il Caucaso, l’Ucraina?

Da un lato ci sono gli oppositori ultraconservativi della civiltà moderna, tra cui anche i terroristi. A questi seguono i nazionalisti comunisti estremi, come lo fu Miloševic. Tra i nemici dei cambiamenti rientrano anche i nazionalisti “mainstream” nonché altri conservatori ancora, tra cui rivestono un ruolo di grande influenza gli ex comunisti. Oggi il disfacimento/lo sfacelo sembrano arginati, le crisi stanno giungendo alla fine. La crisi jugoslava e praticamente conclusa, in Russia si adoperano ancora in nome della vecchia gloria.

L’Ue non riesce ad adottare il trattato per la costituzione. L’allargamento della Nato e dell’Ue stanno frenando. L’Occidente è sempre più indulgente verso la Russia. La crescita economica, legata alla conquista dei mercati dell’Est, è in calo. Dopo la stasi subentra la crisi, che si dice simile a quella del 1929.

La Slovenia, rispetto agli altri paesi dell’Europa centrale e orientale, aveva un compito notevolmente più arduo. Mentre gli Ungheresi, i Polacchi, i Rumeni ecc. lottavano per la democrazie, noi Sloveni dovevamo innanzitutto creare una nazione nostra per così discostarci ovvero scioglierci dalla Jugoslavia. Possiamo notare come per diversi popoli dell’ex Jugoslavia il tempo si sia arrestato, mentre per altri scorre più lentamente rispetto al resto del mondo. Anche noi Sloveni abbiamo perso un po’ di tempo, il che è naturale. Potremmo avere un vantaggio di qualche anno se a causa dei ritardi storici non avessimo dovuto creare uno stato indipendente nonché lottare per un’adeguata collocazione a livello internazionale. L’impegno investito nella creazione di uno Stato indipendente ci ha tolto molte forze e attenzioni che altrimenti avremmo potuto destinare alla crescita delle istituzioni democratiche. A causa degli “interessi nazionali” nel 1991 abbiamo raggiunto un’alleanza tra tutti i partiti politici, il che ad alcuni fece sorgere il dubbio che le cose sarebbero andate avanti come sempre.

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