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Sensibilità musicale come appartenenza a una civiltà (Voce del Popolo 29mag13)

Tra gli elementi fondanti e identificanti delle culture istriana e dalmata di matrice latino veneta sta certamente l’ininterrotta tradizione di un’espressione musicale, intesa nelle sue molteplici varianti, che nei secoli ha rinsaldato i legami di queste terre con la civiltà di Roma e poi quella di Venezia, sì da esserne queste tenaci e attente custodi ma anche vitali interpreti, divenendo a loro volta centri di diffusione di nuovi impulsi, gusti e forme, confrontatesi armonicamente con le contermini culture slava e tedesca nella prevalenza delle espressioni plasmatasi nell’ambito delle cultura e civiltà latino-veneta. Possiamo tracciare alcune partizioni affrontando complessivamente la musica d’arte: quella vocale monodica ascrivibile al canto piano, e quella polifonica vocale, con o senza accompagnamento strumentale insieme con quella prettamente strumentale. In ultimo, si cennerà alla musica vocale cosiddetta d’espressione popolare.

Il primo suono storicamente accertato è quello delle tibie e buccine romane che nel 178 a.C. suonarono la sconfitta degli Istri. Se le origini della Chiesa istriana e Dalmata sono antichissime (il martire San Mauro è vescovo di Parenzo nel III secolo mentre una vita diocesana organizzata si riscontra già verso il VI secolo a Trieste, Giustinopoli (Capodistria), Cittanova, Parenzo, Pola e Pedena), antichissima è anche la sua musica cultuale. In cotale contesto, ecclesiasticamente vitale (patriarcati di Aquileia, poi di Grado e di Venezia), non poteva non svilupparsi e conservarsi una tradizione musicale sacra dai tratti autonomi e peculiari.

Chi durante le sacre liturgie avesse sostato in una chiesa situata nella fascia territoriale corrispondente all’Istria, al Quarnero e alla Dalmazia, avrebbe facilmente potuto udire tracce sonore di quello che la musicologia italiana qualifica come canto patriarchino, ossia un canto liturgico di tradizione orale, polifonizzato naturalmente dalle voci e accompagnato sovente dall’organo, su testi latini, tramandato e cantato in tutte le officiature di rito romano, in luogo delle melodie gregoriane proprie di tale rito.

Molteplici fattori condussero al tramonto della tradizione patriarchina: la riforma liturgica del Concilio Vaticano II con l’abbandono generalizzato della lingua latina nella liturgia, e prima ancora l’edizione dei nuovi libri liturgici di canto gregoriano tra gli anni Venti e Trenta del ‘900, che soppiantarono in molti luoghi gli usi musicali-sacri monodici locali. Perché patriarchino? Vulgo dicitur patriarchinus annotava il sacerdote e studioso parentino Francesco Babudri. Per convinzione propria degli ambienti ecclesiastici istriani e friulani si riteneva che detto canto radicasse le proprie origini nel canto del patriarcato aquileiese. Trattasi di canto ch’ebbe a intrecciarsi alle culture monodiche e polivoche locali nei lunghi secoli di influenza del Patriarcato veneziano sotto la Dominante (Repubblica di Venezia), e che si diffuse rapidamente ed in profondità non soltanto nella Dalmazia e nelle località costiere istriane e venete, ma pure nella terraferma veneta e friulana. Così come a noi giunto, non è altro che il risultato d’una plurisecolare trasmissione orale in una continua sovrapposizione di stili, sì da aver acquisito una propria peculiare fisionomia.

La produzione musicale istro-dalmata, pur non si discostandosi dagli stili e dalle forme dei maggiori centri di cultura italiani ed europei, offre notevoli contributi alla storia della musica. Gli avvenimenti musicali più importanti in Istria dal Cinquecento in poi sono strettamente legati all’attività esecutiva e musicale delle cappelle corali delle chiese più insigni. Basti ricordare che la cappella musicale del duomo di Capodistria alla fine del Seicento vantava quattro cantanti professionisti, due violinisti e un maestro di cappella, e risultava di media grandezza se confrontata ad altri centri musicali quali San Marco, San Petronio a Bologna o Sant’Antonio a Padova.

Anche le famiglie nobili e borghesi coltivavano l’arte musicale nell’ambito di accademie rinascimentali: i membri dell’Accademia Palladia di Capodistria nei loro incontri intonavano qualche madrigale, e probabilmente anche qualche componimento del compositore e organista capodistriano Gabriello Politi o Puliti (1580-1644), il quale a Venezia edita circa trentasei raccolte di composizioni sacre e profane, di cui alcune oggi riedite dall’Istituto di Musicologia di Lubiana: tra le composizioni strumentali a più voci, compaiono le prime forme di monodie sacre barocche con continuo strumentale. A Capodistria sono maestri di cappella il fiammingo Francesco Bonardo e gli italiani Silao Casentini e Nicolò Toscano: l’attività compositiva è ospitata nelle liturgie solenni del duomo.

L’Istria partecipa agli eventi romani in questo periodo attraverso il compositore sacerdote Filippo di Laurana, il quale compone la frottola Quercus juncta columna est per i festeggiamenti nuziali di Marc’Antonio Colonna e Lucrezia della Rovere e fra tanti il madrigale “Dona contro a la mia voglia”, prediletto da Cesare Borgia. Dal 1512 sino alla morte quegli fu anche maestro di cappella del patriarca di Aquileia. Mori dopo l`anno 1523, e al suo posto fu nominato suo nipote Jacopo.

Campeggia meritoria in questo secolo la figura di Andrea Antico da Montona (1470-80; 1540?), sacerdote, editore e compositore di musica sacra e profana che beneficiò di privilegi papali, trasferitosi a Venezia intorno al 1500. Egli è uno dei precursori del madrigale con Costanzo Festa e Benardino Pisano. Cenniamo quindi Francesco Bossinensi (sec. XV-XVI) liutista, del quale il ricordato Petrucci pubblicò due libri d’intavolature per liuto. A Rovigno in questo secolo opera il sacerdote rovignese Francesco Sponza, o Spongia – Usper (1561-1641), il quale si perfezionò a Venezia sotto la guida del sommo maestro di cappella di San Marco Andrea Gabrieli. Divenne organista nella chiesa di San Salvador e nel 1622 a San Marco. Le sue opere musicali comprendono i Ricercari (1595), un primo di madrigali (1604), la messa e salmi (1614), le composizioni armoniche (1619) un libro di salmi (1627), Graduale e il Tractus per il perduto Requiem mediceo del 1621.

Quanto alla Dalmazia, regione più isolata ma fucina d’ingegni notevoli, i rapporti commerciali con l’Italia, favoriscono gli scambi culturali soprattutto con Ragusa, il maggior centro di cultura dalmata: nel ‘500 ricordiamo i compositori A. Petris (Patricij) e Julius Schiavetto o Schiavetti (Skjavetić secondo certa musicologia croata), le cui opere rappresentano drammi e commedie pastorali con musica e danza, nonché il più celebre L. Lukačič.

Il secolo è funestato a partire dal terzo decennio dalla catastrofica epidemia di peste e dalla carestia che ne seguì. Ciò provoca anche il declino della prassi musicale, che tuttavia consente si forgino ancora ingegni musicali di spessore. In questo secolo il nipote del rovignese Francesco Spongia Gabriele Usper, lavora quale compositore a Venezia. A Capodistria il Duomo è laboratorio di composizione musicale: vi emerge il nobile capodistriano Antonio Tarsia (1643-1722), compositore di musica sacra e organista del duomo. La musica veneta influì sul versante sacro e, più in generale, quella italiana su quello profano: Tarsia ci lascia infatti anche un’opera, “Il peccatore ammaliato” (1660). In Dalmazia sono attivi il compositore J. Raffaelli ed a Spalato vive il grande intellettuale J. Bajamonti, autore dell’oratorio “La traslazione di San Dòimo”. Il fiumano

Vincenzo Jelich opera a Graz e in Alsazia, componendo raccolte di mottetti annoverabili fra gli esempi significativi del primo Barocco. Nel Duomo di Spalato compone Tomaso Cecchini (1583-1644), veronese di nascita, poi maestro di cappella nel Duomo di Lesina dal 1614, il quale contribuisce ad introdurre la monodia barocca sulla costa orientale del Mare Adriatico.

Giuseppe Tartini (1692-1770) è il musicista d’eccellenza che l’Istria dona a questo secolo, violinista e compositore. Nato a Pirano d’Istria, nella cui piazza viene raffigurato in monumento, dopo una vita alquanto burrascosa, tra Venezia, Assisi, Praga e Padova, scrive trattati di teoria musicale, di acustica, di dialettica violinistica, oltre ad innumeri composizioni strumentali (soprattutto concerti, 131, e sonate per violino o violino e basso), tra cui menzioniamo la celebre sonata per violino “del trillo del diavolo” (1713) e “Didone abbandonata”, mentre tra quelle sacre ricordiamo la Salve Regina e il Miserere eseguito nella Cappella Sistina alla presenza di Papa Clemente XIII. Noto in tutta Europa non solo quale virtuoso e studioso della didattica e tecnica violinistica, intuisce l’importanza dello studio della matematica e della fisica per meglio comprendere il suono.

Scrive allora “Il Trattato di musica secondo la vera scienza dell’armonia”, cercando d’indagare scientificamente il sistema musicale, e poi la “Dissertazione dei principi d’armonia”. A Padova, ove concluderà la sua esistenza terrena, apre nel 1728 una scuola di violino, che richiamerà allievi dall’Italia e dall’estero.

In Dalmazia va infine ricordata l’opera, sia pure non compositiva, di Pietro Nacchini, che costruì ben cinquecento organi fra l’Italia e la Dalmazia. A Capodistria opera Giacomo Genzo (1779-1861), organista del duomo e compositore, che ci lasca messe mottetti, salmi, offertori, inni, e sonate.

A Pola, il 5 maggio 1854 nasce Antonio Smareglia, il più grande operista istriano. Dopo gli studi compiuti a Vienna, Graz e al Conservatorio di Milano con Franco Faccio, stringe l’amicizia con Arrigo Boito, esponente della cosiddetta Scapigliatura milanese, ed esordisce con le opere “Preziosa” e “Bianca da Cervia”, ricollegandosi con l’opera successiva “Il vassallo di Szigeth” alle tendenze tardoromantiche e alle tecniche wagneriane dell’area mitteleuropea. Il suo capolavoro spicca tra una produzione ricca di musica da camera e di musica sacra. Nel 1897 compone Falena e, ormai cieco, Oceana, rappresentata alla Scala e diretta da Arturo Toscanini. Arrigo Boito commenta: “in quest’opera che segna un nuovo capitolo nella storia del Teatro Italiano, la tua orchestra è più ricca e più varia di Wagner”. La cecità sopravvenuta non gli impedì di lavorare e di produrre: accetta nel 1921 una cattedra al Conservatorio Tartini di Trieste. Il dramma storico L’abisso, su libretto di Silvio Benco, conclude la parabola creativa di Smareglia. Muore a Grado il 15 aprile 1929. Bene illumina e compendia il messaggio smaregliano il musicologo Tabouret: “si riflette nella musica di Wagner la sua personalità di tedesco, vibra e canta in quella di Smareglia un’anima latina, in cui prevale l’elemento affettivo”.

Originario di Fiume è Ivan Zajc (Fiume 1832-Zagabria 1914), compositore e direttore d’orchestra, che la Croazia annovera fra i compositori di spicco, avente il merito d’aver valorizzato il teatro lirico nazionale croato attraverso l’impegno di temi popolari.

La Dalmazia è in questo secolo la culla del grande Franz Suppé Demelli (Spalato 1819-Vienna 1895), attivissimo quale compositore di operette e rivale di J. Strauss jr.: ricordiamo “La dama di picche” [1864]; “La bella Galatea”[1865]; “Cavalleria leggera” [1866]; “Boccaccia”[1870].

Scrisse, oltre a musica sacra e da camera, nove opere liriche, tra cui resta ancor oggi rappresentata “Poeta e contadino” [1846].

Del resto, nella seconda metà dell’Ottocento maestri compositori italiani siedono alla guida delle prestigiose cappelle corali delle cattedrali di Sebenico (Gaetano Mazzoli) e Traù (Giuseppe e il figlio Giovanni Bozzotti, il primo nato a Milano, il secondo a Traù), e Spalato (Eligio Bonamici, bolognese), favorendo l’interscambio fra le città dalmate e tra la Dalmazia e le regioni della costa adriatica, stante anche la facilità di collegamento via mare.

In particolare, la sua storia musicale più rilevante s’identifica con la vita musicale praticata nella cattedrale di Sant’Anastasia, sede arcivescovile e nelle sue chiese più insigni, durante le liturgie (in genere per le ufficiature della messa cantata e delle ore canoniche – soprattutto il vespero -, sovente occasioni di prime esecuzioni di nuove composizioni musicali). A Sant’Anastasia opera una cappella corale e un’orchestra, e ciò almeno fino ai primi anni del Novecento.

Al principio dell’Ottocento riveste l’incarico di maestro di cappella nella cattedrale di Sant’Anastasia lo zaratino canonico Girolamo Allesani o Alesani (1776-1823), compositore, la cui musica alla sua morte passò alla basilica e venne a lungo eseguita, così un Popule meus, grande messa istrumentale di requiem, con imponente Dies irae, vesperi, mottetti, ecc.” (Sabalich). Gli subentra Antonio Di Licini o Licini. È nominato suo successore nel 1857 Antonio Ravasio, compositore bergamasco diplomato a Milano, maestro di cappella sino alla morte (+1912). Ravasio collabora anche con i Frati, tra i quali spiccano anche figure di compositori, quali quella del letterato padre Donato Fabianich, nato a Pago e morto a Zara nel 1890.

Ascritto fra i compositori istriani è anche il compositore Luigi Dallapiccola (1904-1975), nato a Pisino d’Istria. Gli studi musicali compiuti a Pisino, Graz, Trieste e Firenze consentono uno spazio di maturazione diversificato, ampio e fecondo. Il suo linguaggio musicale trapassa dall’uso della tonalità a quello della tecnica dodecafonica, intesa come strumento di libertà poetica con valore morale. Si fa conoscere nel 1933 con la “Partita”per soprano e orchestra. Seguirono i “Cori di Michelangelo il giovane”, rivisitazione moderna dell’arte madrigalesca, e nel 1940 l’opera teatrale “Volo di notte”. Sensibile ai temi storico-politici scrive “I canti di prigionia”, l’opera “Il Prigioniero”, i “Canti di liberazione”. L’opera “Ulisse” composta nel 1968 chiude la sua  esperienza teatrale. Sette anni più tardi morirà a Firenze.

Nel 1899 nasce a Sušak- Fiume Lovro von Matacič, direttore d’orchestra e compositore, noto in Germania e in Italia. Cherso dà i natali a Bernardino Rizzi il 27 maggio 1891 da Maria Soich e Antonio Rizzi, famiglia presente nella cittadina fin dal 1590. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, e ordinato sacerdote a Roma consegue il Diploma in Canto Gregoriano presso la Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra e, nel 1921, il Magistero di Composizione presso il Conservatorio Musicale di Padova. Raggiunge la grande popolarità in Polonia. Nel 1923 fonda a Krakovia, presso la Basilica dei Frati Minori Conventuali la Società Chòr Cecylianski. Compone numerosissime opere, tra cui citiamo: Il Mistero di Santa Cecilia, dramma cristiano in tre atti con allegorie per soli, coro e orchestra; gli oratori Carnaro, Poema sinfonico; Il Santo, Santo Francesco, Trittico Dantesco; Venezia nelle sue guerre e nella sua potenza, cortometraggio per orchestra; I Pali telegrafici – Impressioni di pioggia – I Falciatori, per orchestra; La Radio, realizzazione sinfonica in morte di G. Marconi; Ali di guerra, quadro sinfonico.

Ricordiamo poi Renato Dionisi, compositore e didatta rovignese, il dalmata Antonio Brainovich compositore e maestro di coro al teatro Regio di Torino e Luigi Donorà, compositore e direttore d’orchestra e di coro, nato a Dignano d’Istria nel 1935 ma attivo a Torino. È autore di musiche per teatro (opere liriche), musiche vocali, strumentali, corali e di musiche sinfoniche.

Un cenno particolare va destinato a Giuseppe Radole, nato a Barbana d’Istria (1921-2007), sacerdote, compositore, che si occupò a lungo di folclore istriano e compose molta musica sacra, per anni alla guida della Cappella Civica di San Giusto di Trieste. Donorà ricorda ancora quali compositori dell’Istria odierna Denis Dekleva Radaković (Pisino 1949) e Massimo Braiković (Rovigno 1955). Anche l’associazionismo corale dei rimasti ha dato la possibilità a taluni musicisti di cimentarsi nella composizione anche di musica corale e commerciale, fra cui ricordiamo i compositori Nello Milotti e Piero Soffici.

A partire dalla prima metà dell’Ottocento si risveglia il sentimento nazionale, e, per la prima volta, il folclore diviene oggetto di ricerca e di studio. Anche l’Istria, il Quarnero e la Dalmazia offrono una ricchissima tradizione orale di canti nella parlata istroromanza e istroveneta da suscitare l’invidia di molte regioni italiane. Tra i primi il dalmata Nicolò Tommaseo edita una raccolta di canti popolari toscani, tosto imitato nel 1862 da un Anonimo che a Rovigno pubblica una raccolta di canti popolari istriani, la prima a noi giunta. Successivamente, lo studioso e sacerdote parentino Francesco Babudri (197-1963), il rovignese Antonio Ive (1851-1937) proseguono l’opera di raccolta, che si spinge sino ai giorni nostri con l’ultima opera di Roberto Starec da poco edita, “I canti della tradizione italiana in Istria”, che raduna le ultime rilevazioni sul campo di tradizioni polivoche ormai quasi scomparse.

I canti popolari istriani si possono distinguere in canti con testo dialettale istriota (diffusi nei centri meridionali dell’Istria, Rovigno, Valle e Dignano), e in canti con testo dialettale veneto istriano. Nei canti istriani non sono pochi forme ed elementi originali: principalmente si pensi alle villotte istriane, componimenti monostrofici in quartina d’endecasillabi rivolte ad un destinatario spesso a tema amoroso, che prendono il nome di botonade a Dignano e batarele a Capodistria, eseguite vocalmente o anche con accompagnamento strumentale (con violino e violoncello chiamato el basseto). A Dignano la villotta è canto assolo e a duetto (e allora si chiama basso). Originali sono pure le bitinade rovignesi, dove le voci in coro improvvisano un fantasioso accompagnamento d’imitazione strumentale alla voce che intona la villotta. Vi sono poi gli stornelli della tradizione di Gallesano, i canti narrativi epico lirici con forma di ballata (come Donna lombarda), le arie di notte (da nuoto) rovignesi. A fianco dei canti popolari profani ricordiamo infine quelli sacri, interessanti e ascrivibili al genere della lauda: molte sono quelle natalizie
e pasquali, ma anche quelle mariane.

In definitiva, il quadro e la produzione musicale della costa adriatica orientale denotano una vivacità culturale ricca e diversificata, che, partendo dagli albori aquileiesi tocca profondamente gli aspetti folclorici popolari, riunisce un repertorio dai tratti originali e che, soprattutto, riferendomi agli aspetti musicali sacri (canto patriarchino) e profani (canto popolare), ha consentito il formarsi nei secoli di una sensibilità musicale ad ogni livello, tale da contribuire essa stessa al sentimento d’appartenenza ad una civiltà peculiare ed unica: nelle sue componenti istriana, quarnerina, fiumana e dalmata.

David Di Paoli Paulovich
“la Voce del Popolo” 29 maggio 2013

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