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Sergio Romano: “superati” i toponimi italiani in Istria e Dalmazia – 04set13

La Associazione Coordinamento Adriatico è attiva dal 1993 nella tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale della Venezia-Giulia e della Dalmazia, insieme con le più risalenti sigle sorelle dell’associazionismo degli esuli. Giova in questo senso ricordare come la Legge 30/03/04 n. 92 sia giunta allo scopo di «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Note dolenti del recente panorama culturale, turistico ed editoriale del nostro Paese rimangono ancora in questo senso la toponomastica e la cartografia piana di quelle terre — Istria, Quarnero, Fiume e Dalmazia — che con le loro province (Pola, Zara e Fiume) e territori furono prima e lungamente venete e poi italiane per lingua, tradizione e cultura e quindi lo divennero a tutti gli effetti politici e amministrativi in parte dopo i trattati seguiti al primo conflitto mondiale (1919) e nel loro complesso con il successivo Trattato di Roma (1924).

Non ritiene, come crediamo noi, finalmente auspicabile — da parte dei nostri quotidiani, delle guide turistiche e dell’editoria più in generale — una maggiore attenzione con l’uso dei toponimi originari accanto a quelli attuali (magari anche in forma bilingue) a tutela della memoria storica di quelle terre e in coerenza alla realtà storica effettiva del nostro Paese?

Giuseppe de Vergottini

 

 

Caro De Vergottini,

Conosco il dramma degli italiani di Fiume, Zara, Pola e so che hanno buoni motivi per lamentare la fretta con cui una buona parte della società italiana si è sbarazzata dell’ingombrante ricordo delle loro sventure. La freddezza e l’ostilità con cui il treno degli esuli fu accolto alla stazione di Bologna è una brutta pagina di storia nazionale. Il passato di quelle città è un patrimonio culturale italiano che andrebbe rispettato e coltivato. Ma ho qualche volta l’impressione che nella nostalgia istriana e dalmata vi sia una inutile componente revanscista e, in qualche caso, un vecchio pregiudizio antislavo.

Pola e Zara sono state indubbiamente italiane. Fiume era probabilmente più mitteleuropea che italiana, ma anche i suoi cittadini ungheresi e croati parlavano italiano ed erano legati alla penisola da un forte vincolo culturale. La loro sorte, tuttavia, non è molto diversa da quella che ha colpito, fra la prima e la Seconda guerra mondiale, molte città europee. Breslau si chiamva Wroclaw, Königsgberg si chiama Kaliningrad, Danzig si chiama Gdansk, Pressburg si chiama Bratislava. Come Zara, molte di queste città hanno perduto i segni distintivi della loro identità architettonica. Tutte sono abitate da nuovi «indigeni» che parlano la loro lingua, hanno i loro ricordi e non vogliono essere trattati come estranei in casa d’altri.

È pratico e utile chiamare queste città con il loro vecchio nome nelle guide turistiche e nelle carte geografiche di viaggiatori contemporanei? È utile per i nostri dalmati e istriani vivere con gli occhi costantemente rivolti al passato? Questo non significa che sul passato italiano di Fiume, Pola e Zara occorra calare definitivamente il sipario. Ma riusciremo a conservare le loro memorie italiane soltanto se anche i loro nuovi cittadini ne saranno orgogliosi. Durante un viaggio a Kaliningrad, qualche tempo fa, ho constatato che i suoi abitanti (tutti russi, ucraini, bielorussi e più generalmente postsovietici) sono lieti di appartenere a una città che fu patria di Kant e sede regale della Prussia orientale. Coordinamento Adriatico potrebbe promuovere iniziative per suscitare lo stesso orgoglio negli abitanti slavi di Fiume, Pola e Zara. Credo che sarebbero bene accolte e che tutti potremmo trarne vantaggio.

Sergio Romano
www.corriere.it 4 settembre 2013

 

 

 

Una cartolina pubblicitaria di Zara degli anni Venti del Novecento

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