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Simone Cristicchi: «Io schierato? Sì, con le storie che racconto» (Il Fatto Quotidiano 24ott13)

Quando Simone Cristicchi ha deciso di scrivere e portare in scena Magazzino 18 non si è chiesto cos`è di destra o di sinistra. Voleva narrare le vite spezzate delle famiglie dei “rossi” tanto quelle dei “neri”. Raccontare degli esuli giuliano-dalmati e fiumani che nel 1946 lasciarono le loro case e terre assegnate dai trattati di pace alla Jugoslavia di Tito. Lo ha fatto e il pubblico a nord-est ha dimostrato di aver capito infischiandosene di tutto il resto.

A teatro dunque come nelle urne:i politici o presunti tali parlano, straparlano, ma alla fine sono i cittadini a scegliere. Scommessa vinta con il tutto esaurito e il successo della prima al Rossetti di Trieste?

Sì. Una cosa davvero unica penso nella storia di questo teatro. All`inizio si respirava tanta tensione che poi si è sciolta anche con qualche risata. Personalmente non mi era mai capitato di andare in scena in un teatro all`esterno del quale c`erano le forze dell`ordine per timore di disordini. È stata la vittoria della gente che non ha voce,visto che con questo musical siamo riusciti a colmare il silenzio di tanti anni. Il lungo e ininterrotto applauso finale ha posto la parola fine su tutte le polemiche.

 

La diatriba sollevata tra chi prima le dava del comunista e poi del fascio è specchio di quell`Italia che si perde dietro l`ultima corrente politica…

Di chi parla senza conoscere, di chi pontifica a prescindere. Di una tendenza a dare per scontato che fossi schierato da una parte o dall`altra. Io sono schierato con le storie che racconto, dalle miniere alla seconda guerra mondiale, con tutte quelle vite che hanno fatto la Storia di questo paese indipendentemente dalle etichette di destra o di sinistra. È bastato inserire la lettera di una bambina slovena che ricorda la morte del papà in un campo di concentramento per accusarla addirittura di una visione giustificazionista degli eccidi slavo-comunisti… Ciò che più mi ha ferito è che qualcuno abbia detto che fossi un artista manipolabile.

Alla vigilia, in conferenza stampa lei aveva affermato: «Nel resto dell`Italia il giuliano-dalmata è scambiato al massimo per un letterato» mettendo tutti a tacere e soprattutto facendo capire che non è guardandosi l`ombelico che si fanno passi in avanti…

Lo spettacolo si conclude con una frase che richiama l`attualità di tutti i profughi e gli esuli del mondo che fuggono dall`odio razziale, dalla fame e dalle guerre. Ieri come oggi. Di tutte quelle persone che hanno scelto liberamente di mettersi in cammino verso la libertà e la democrazia. Ho solamente voluto allargare la visione di questo fazzoletto di terra estendendola al mondo intero. Un punto di vista molto più ampio che da Trieste arriva fino a Lampedusa.

Il pubblico del Politeama Rossetti ha premiato il suo lavoro che replicherà fino a domenica prima di approdare in altri teatri d`Italia e dal 17 al 22 dicembre andare in scena alla sala Umberto di Roma. Che aspettative ha?

Non saprei, magari nelle altre città non riusciremo a riempire le sale come sta accadendo qui, dove tra l`altro vivono 100 mila esuli che attendevano questo spettacolo. Inoltre molti direttori artistici aspettavano di vedere di cosa si trattasse perché non avevano fiducia. Io sono interessato a portare questo lavoro all`attenzione del pubblico perché si tratta di una vicenda che riguarda tutti noi. Basta pensare ad artisti come Sergio Endrigo, Alida Valli, Fulvio Tomizza o Laura Antonelli tutte famiglie di esuli.

Come ha deciso di dedicarsi a quello che lei chiama “musical civile”?

Posso dire di aver inaugurato questo filone in cui un attore non è solo voce narrante ma interprete di diversi personaggi accompagnati da canzoni appositamente scritte sulla base di testi e testimonianze frutto di una ricerca durata quattro anni.
Un prototipo teatrale che mi è piaciuto molto e che si presta a molti altri argomenti; penso ad esempio che si potrebbe mettere in scena il Risorgimento che con questa formula potrebbe anche coinvolgere le nuove generazioni.

 

Se il teatro civile si rivolge a un pubblico adulto e colto, il musical civile fa un passo in avanti e guarda ai ragazzi.

Sono loro il futuro. Anche perché i ragazzi, dei 350 mila esuli italiani della Jugoslavia di Tito non sanno molto…Ritengo che la generazione precedente alla mia non abbia fatto i conti con quella vicenda. Chi come me viene dopo ha una visione più imparziale e non intrisa di ideologia che permette di capire che non è stata solo la tragedia bensì una vera trasformazione di un popolo e credo che sia questo l`elemento di interesse per i giovani. Nello spettacolo – con la regia di Antonio Calenda – le nuove generazioni sono rappresentate in modo forte e simbolico dal coro di 40 bambini, ma anche dai giovani musicisti della FVG Mitteleuropa Orchestra diretta da Valter Sivilotti che ha composto le musiche. Brani dai forti contrasti, come tutto lo spettacolo del resto.

 

Elisabetta Reguitti

www.ilfattoquotidiano.it 24 ottobre 2013

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