Le radici della crisi economica che attanaglia la Slovenia vanno cercate, oltre che in fattori esterni, anche in alcune peculiarità dell’economia slovena. Dopo l’indipendenza del 1991 il Paese è passato da un’economia di stato a un’economia di mercato. Negli anni novanta la Slovenia è stata pervasa dalla logica “dell’interesse nazionale”: le redini dell’economia sono state trattenute in mani slovene, il mercato nazionale si è chiuso a riccio non accettando di buon occhio eventuali investitori esteri.
Una buona parte delle attività produttive slovene e delle banche sono così finite nelle mani dello stato e degli enti parastatali che ne hanno preso in mano la gestione. Si è trattato di aziende che operano nei più diversi ambiti, dall’alimentare (Mercator), all’industria delle bevande (Pivovarna Lasko, Pivovarna Union e Fructal), alle società petrolifere Petrol e Istrabenz (quest’ultima convertita dopo il 2000 al ramo turistico), ai grandi casinò (Hit) e alle società di assicurazioni (Triglav, Sava re), per citarne solo alcune. Lo stato ha avuto in tutte queste aziende negli ultimi vent’anni anni una quota azionaria molto rilevante o addirittura maggioritaria.
Nel settore a partecipazione pubblica sono infine rimaste anche le banche: le due maggiori, la Nlb e la Nkbm sono ancora oggi quasi all’80% a partecipazione statale. Uno stato così fortemente presente nell’economia slovena ha fatto sì che la politica potesse diventare lo strumento per controllare buona parte dell’economia slovena. Il Cda e il consiglio dei sindaci delle banche e di alcune delle maggiori aziende venivano nominati da chi deteneva il potere politico scoprendo così il vaso di Pandora della connivenza politica-economia.
Nel periodo della congiuntura economica (fino al 2008) venivano elargiti crediti senza garanzie adeguate e basati più sulla convenienza politica che su quella realmente economica. L’esempio più limpido di questa politica sono le scalate che i manager hanno tentato di fare ai danni delle proprie aziende (Pivovarna Lasko, Merkur, Istrabenz ed altre): le banche fornivano liquidità ai manager (senza fondi propri), e riprogrammavano i loro crediti finché dopo l’inizio della crisi diventò palese che i debiti non sarebbero stati ripagati.
Tra i manager che hanno tentato di approfittare della congiuntura economica (iniziata dopo il 2000 e terminata con la caduta di Lehman Borthers) anche quelli del comparto edilizio: oltre che al programma di costruzione delle autostrade, per il quale lo stato ha sborsato circa 11 miliardi di euro, c’era una gran richiesta di costruzione di immobili. Anche questa è stata effettuata sulla base di crediti (con somme ingenti) che si sono dimostrati insostenibili per le aziende debitrici. Si è trattato di una tipica bolla immobiliare (modello spagnolo) unita al tentativo di scalata da parte dei manager (“modello sloveno”) che ha portato tra il 2010 e il 2011 al fallimento delle tre maggiori aziende di settore: Sct, Primorje e Vegrad. A soffrirne comunque è stato tutto il settore dell’edilizia che secondo le stime della Banca centrale slovena aveva per ogni euro di capitale proprio ben 4 euro di debiti.
Con l’avanzare della crisi il problema dei crediti anomali elargiti delle banche diventava sempre più evidente. Il dato più preoccupante riguardava le sofferenze sui crediti ovvero i prestiti elargiti ad aziende che sono già fallite o con debiti con rating di classe D o E (rischio molto alto): secondo le stime della Banca centrale slovena il sistema bancario sloveno ha avuto a giugno 2012 7 miliardi di euro di sofferenze su crediti (l’intero portafoglio di crediti del sistema bancario sloveno verso società non finanziarie si aggira intorno ai 18 miliardi di euro secondo le stime della Banca centale slovena). Per capire meglio il contesto di questo dato va spiegato che il Pil sloveno è di 35 miliardi di euro: le più gravi sofferenze sui crediti ammontano dunque al 20% del Pil nazionale. La Nlb secondo i dati della Banca Slovenia avrebbe 2,09 miliardi di sofferenze su crediti, la Nkbm invece 611 milioni di euro.
Nella dinamica dei dati macroeconomici sloveni la crisi bancaria della Slovenia si è fatta sentire soprattutto nel deficit che nel 2009 e nel 2011 ha superato il 6% del Pil. Parte del deficit accumulato dallo stato va ascritto al tentativo di salvataggio delle banche e delle aziende a rischio (oltre che alla politica di spesa pubblica per il sociale portata avanti dal governo Pahor in quel periodo). La crisi bancaria, che viene oggi riconosciuta internazionalmente come il problema principale sloveno, viene affrontata con il modello della bad bank: a un’agenzia esterna, che godrà di garanzie statali, verranno trasmessi i crediti anomali delle banche slovene. L’agenzia avrà il compito di risolvere la questione dei debiti, mentre le banche, ripulite dai carichi creditizi più onerosi, dovrebbero essere in grado di far ripartire la normale politica dei crediti e così facendo dovrebbero far ripartire anche il Pil che nel 2012 ha avuto un calo del 2,3% e che le previsioni del 2013 danno al -2%. La bad bank è un’idea attuata dal precedente governo Jansa ed è stata ripresa (con probabili modifiche) anche dall’attuale governo Bratusek.
Andrej Cernic
www.ansa.it 8 maggio 2013