L'INTERVENTO
Il problema reale sul tappeto oggi è cosa voglia fare l’Italia di Trieste, del suo Porto, delle sue capacità di innovazione, delle sue strutture scientifiche, delle sue relazioni. Ossia, la questione all’ordine del giorno è: qual è nei fatti, e come dovrebbe configurarsi, la presenza politica dell’Italia in quest’area danubiano-adriatica, oggi.
È la stessa domanda che Giani Stuparich nel 1919 rivolgeva all’Italia che arrivava qui. Chiedeva cosa il nostro Paese intendesse fare dell’esperienza storica, culturale, civile ed economica di Trieste e dei giuliani in generale.
Sappiamo come è andata a finire allora: dopo un periodo durato poco tempo in cui vennero ricercate aperture, l’Italia si presentò qui con il volto del nazionalismo e del fascismo che spazzò via, disprezzandole o ignorandole, connessioni, tradizioni e sensibilità.
Poi, dopo il 1945, Trieste fu ridotta a ben poca cosa. Persi i riferimenti di quella vasta area che era il suo naturale punto di riferimento, la città fu ridotta a ricercare una nuova, contratta e insicura identità di frontiera. Privata della sua stessa area metropolitana costituita storicamente dall’Istria nord-occidentale, Trieste ha saputo «ragionare», dare e darsi risposte. Faticosamente ma lo ha fatto. Ha contribuito all’instaurazione di un clima nuovo di confronto in un’area che nella prima metà del ’900 era stata devastata. Trieste nei decenni della Guerra Fredda è stata, come sappiamo, profondamente divisa, al suo interno e ai suoi confini fra Stati che molto avevano da rimproverarsi reciprocamente.
A molti convenivano le divisioni di Trieste, a molti conveniva tener bloccata – e perciò più debole – la città e legare la presenza dell’Italia qui al passato, anche approfittando della dabbenaggine di coloro che non volevano ammettere l’evidenza e continuavano a tacere sulla politica di aggressione del fascismo: si intestardivano, insomma, a difendere l’indifendibile.
La divisione di Trieste a molti conveniva: al Friuli, che ha fatto e continua a far fatica a sopportare identità e ruolo di Trieste; alla Slovenia, che ha tutto l’interesse a supportare il Porto di Capodistria; alla Lega Nord che ha cercato e cerca di svolgere anche qui la sua opera di disgregazione del tessuto nazionale unitario. Ma oggi sono convinto che i triestini abbiano capito che non possiamo dividerci sul passato, oggi dobbiamo rispondere alla domanda di Stuparich: cosa vuol fare l’Italia oggi in quest’area, qual è oggi la politica del nostro Paese in quest’area danubiano-adriatica?
Discutiamo sul futuro della città, non più sul passato: l’incontro del 13 luglio fra i tre Presidenti ha significato una reciproca assunzione di responsabilità nelle vicende di queste regioni nel corso del ’900: ora discutiamo del futuro e sono sicuro che su questo tema è possibile aprire un confronto fra le forze politiche e civili della città per trovarvi le tante ragioni di coesione. I 150 anni dell’Unità d’Italia significano questo, significano uno sguardo sul futuro e non certamente un ripiegamento sul passato: se ha un senso celebrare qui i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo ha in questa prospettiva di un’attiva presenza politica e civile dell’Italia oggi in quest’area e del ruolo che vi può svolgere Trieste.
Stelio Spadaro