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Spadaro, l’Europa riconosca il valore degli esuli (Il Piccolo 10feb13)

Caro presidente Giorgio Napolitano, oggi, 10 febbraio, Giorno del Ricordo, desidero ringraziarla per tutto l’impegno civile, personale e politico che ha profuso per includere nella memoria della Nazione le vicende del confine orientale e dei giuliani, fiumani e dalmati di lingua italiana che sono stati coinvolti in tragedie che hanno sconvolto la vita dei singoli e delle comunità.

È stato necessario e giusto ricordare agli italiani l’esodo a cui tanti nostri connazionali furono costretti dal totalitarismo comunista e dal nazionalismo sloveno e croato. A lungo su queste vicende, come lei sa, è sceso l’oblio dell’Italia repubblicana; un oblio e una sottovalutazione della portata di una vicenda che, con la dissoluzione della Venezia Giulia, ha segnato la dispersione degli istriani, fiumani e dalmati di lingua italiana. È una pagina originale e significativa della nostra storia nazionale.

Ora è tempo che la legge del Giorno del Ricordo diventi occasione per una riflessione di ancor più largo respiro sui tratti complessivi di quella civiltà del mare, dell’ulivo e della vite, originale espressione ed elaborazione del patrimonio nazionale ed europeo. Mi riferisco a una lunga e diffusa esperienza umana, di generazioni, che con il lavoro, con la tecnologia, con l’ingegno ha segnato in profondità le contrade adriatiche nei secoli, prima dell’avvento del fascismo con il suo cuneo di violenze e di oppressione. È un’occasione imperdibile per allargare la riflessione sull’intera storia del Novecento adriatico. Un’occasione, signor presidente, per ragionare sul futuro.

Parlare della storia e dei tratti degli italiani dell’Adriatico orientale oggi significa avere la consapevolezza che si può contare sul loro contributo nella costruzione di quell’Europa adriatica che era il sogno di tanti uomini di cultura nazionale – primo fra tutti Mazzini, tanto familiare alle genti istriane – ed era nella speranza di tanti giuliani: persone e pagine colpevolmente dimenticati, ma che ora più che mai possono dare un apporto di tradizioni, di riflessioni e di sensibilità alla costruzione di quell’Europa adriatica che, finalmente prendendo congedo dai disastri del secolo scorso, colga i segnali che ci possano aiutare ad avviare un’integrazione che serve a tutti.

Eugenio Colorni più volte ebbe modo di ricordare che aveva imparato ad amare l’Europa discutendo con Umberto Saba. È un’antica tradizione giuliana, questa: l’europeismo era di casa qui, come era di casa il mondo per i tanti capitani dell’istituto nautico di Lussinpiccolo, saldamente ancorato alla lingua e alla cultura italiana, che per mentalità e professionalità diffondevano l’attitudine a guardare oltre, ad ampi orizzonti, e a rapportarsi con popoli ed esperienze diverse. Una civiltà, dunque, che oggi può essere più che mai utile.

Come può essere utile, caro presidente, ricordare che, anche nei momenti più bui dell’esodo e dei campi profughi, gli istriani, fiumani e dalmati di lingua italiana hanno dato al Paese un contributo di lavoro, di intelligenza, di atteggiamento civico che, sempre più, tutti riconoscono loro: un segnale di fiducia nel futuro. Ci fu una lunga indifferenza della Patria nei loro confronti e la loro reazione a tale rifiuto fu talvolta scambiata per estremismo, ma era invece di esasperazione per il mancato rispetto delle loro vicende e della loro storia da parte della madrepatria.

Si pensi che a distanza di tanti decenni non è stata ancora data soluzione definitiva alla vicenda dei beni abbandonati sottratti agli istriani dal regime comunista jugoslavo. È una questione di giustizia ma anche un doveroso, tardivo riconoscimento: si pensi che la legge del Giorno del Ricordo è appena del 2004. Ricordare, in questo 10 febbraio, le vicende degli italiani dell’Adriatico orientale significa, infatti, ricordare i tratti di una lunga tradizione civile che oggi può far bene a un’Europa che finalmente consenta a tutti di esprimersi liberamente e che permetterà di unificare contrade che troppo a lungo, nel Novecento, sono state divise e contrapposte, segnate da etnonazionalismi, totalitarismi, scontri e guerre che dall’inizio e fino alla fine del Novecento hanno insanguinato anche queste terre. Per storia e cultura, alla costruzione dell’«Europa adriatica», i giuliani possono dare, oggi più che mai, un apporto fecondo, e ciò nell’interesse di tutti i popoli.

Stelio Spadaro
“Il Piccolo” 10 febbraio 2013

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