di ROBERTO SPAZZALI
Le diplomazie sono giunte a un compromesso grazie gli auspici di Miloš Budin e Lucio Toth, con una visita congiunta dei tre Presidenti della repubblica di Croazia, Italia e Slovenia all'edificio del Narodni Dom e al monumento dell'Esodo, a poca distanza dal primo. In città non sono mancate prese di posizione su un accostamento difficile, quasi a identificare l'inizio e la fine di un percorso storico in cui il nazionalismo, da qualunque parte esso provenga, è l'imputato principale. A mio parere, messe così le cose, può sembrare una semplificazione ”diplomatica”.
Può avere un senso, però, se parliamo di Male, del Male del Novecento, della violenza che ha accompagnato le degenerazioni politiche, i processi rivoluzionari di destra e di sinistra, con i suoi rituali moderni e arcaici, dalla liquidazione di avversari e oppositori all'uso del fuoco purificatore.
A Trieste si erano appena attenuati i ricordi della caccia al ’talian del settembre 1898, quando la mano del disperato Lucheni aveva spenta la vita della sovrana Elisabetta d’Austria e nell’aria non si era ancora diradato l’odore degli incendi del maggio del ’15 che avevano distrutto Il Piccolo, la Ginnastica Triestina, la sede della Lega Nazionale, il ricreatorio Pitteri. Per altri motivi, qualcuno osserverà, ma sempre di violenza sopraffatrice si tratta.
Aveva osservato Giani Stuparich in Trieste nei miei ricordi che nulla di peggio è la violenza cieca e arbitraria che, colpendo gli innocenti, vuole castigare i colpevoli «rendendo responsabile una nazione intera degli atti insani di alcuni suoi componenti», dando mandato alla presunta furia popolare, in verità sempre organizzata e finalizzata. Lo scrisse nel 1948, quando l’esodo dai territori ceduti alla Jugoslavia si era già consumato, andando con la mente a quei giorni di luglio 1920 quando con grande fatica e peso del dolore si accostava al dialogo spirituale con il fratello Carlo, al punto di chiedersi se egli era veramente morto per tutto quello che stava accadendo.
Sono parole profonde e riflessioni alte: profonde sulla degenerazione della politica, sul non avere capito cosa stava succedendo non solo a Trieste ma in Italia, in Europa, e alte per la piena assunzione di responsabilità generazionale.
In quei giorni giunse a Trieste Piero Gobetti e Giani Stuparich lo volle accompagnare in visita alla città. A Gobetti la città non piacque, rispose con un sorriso sottilmente ironico, una città sospesa tra i sentimenti consolatori dell’amico e il nulla. Ad altre cose l’intellettuale torinese era proteso e qui a Trieste sembrava prevalere l'inerzia, la fine dell’energia.
Va detto che sugli incidenti di Spalato e correlazione con l’incendio del Narodni Dom molto è stato detto e scritto anche se è mancato uno studio sistematico delle molte testimionianze rese nel tempo e delle fonti a disposizione. E non va dimenticato che l’indomani analoga istituzione croata di Pola fece la stessa fine e lì non era la prima volta.
Una decina d’anni fa Almerigo Apollonio dedicò un intenso capitolo in Dagli Asburgo a Mussolini sulle vanterie che lo squadrismo fascista locale espresse in epoca non sospetta e ricordate già nel 1963 da Carlo Schiffrer, ma che ora andrebbero rilette con maggiore attenzione per capire quel tragico 1920 che si aprì con gli assalti alle Camere del lavoro in Istria, proseguì il 1° maggio coi morti di Pola (un po' dimenticati) e con le barricate di San Giacomo e si concluse con il Natale di sangue a Fiume, con la fine dell'esperienza dannunziana. Colpi da tutte le parti per semplificare il quadro.
Ma va detto che né allora né dopo ci fu inchiesta giudiziaria per appurare le responsabilità, per capire che cosa effettivamente rappresentava il Narodni Dom a Trieste, al di là del significato simbolico in città per gli sloveni, ma anche croati, serbi e in generale per l’economia del mondo slavo proteso sul porto. Si trattò del classico caso di manifestazione sfuggita di mano, oppure della scintilla di cui Francesco Giunta aveva bisogno per avviare la sua ascesa politica? Si consumò in quei giorni, tra Spalato e Trieste, un atto di guerra non convenzionale tra Italia e Jugoslavia per sabotare le trattative diplomatiche sulla questione di Fiume? Questa era l’opinione di Gaetano Salvemini. Bisognerebbe allora collocare quei fatti nel contesto più ampio delle tensioni dell’epoca, appunto da Fiume alla Carinzia.