Il primo conflitto mondiale rappresentò un dramma per molti abitanti del litorale austriaco. La chiamata alle armi non interruppe solamente la vita quotidiana di coloro che improvvisamente si trovavano inviati al fronte. Questo evento costituiva anche un motivo di grave turbamento delle loro coscienze. I sudditi dell’Impero austro-ungarico dovevano decidere tra la diserzione e il puntare le armi contro un esercito che per molti rappresentava una speranza di libertà e di affermazione dell’italianità, quest’ultima intesa quale elemento imprescindibile della loro cultura. La violenza, l’assolutismo e il militarismo venivano vissuti, ormai da molti, con ripugnanza. Ciò era ancora più forte in coloro che si sentivano attratti da ideologie solidaristiche, dall’internazionalismo e dal desiderio di una convivenza dei popoli, di rilievo specialmente in quelle terre ove civiltà e culture diverse da sempre si erano intrecciate. Questo è il contesto storico del libro appena pubblicato dalla Beit di Trieste, di Antonio Budini, “Le memorie di guerra di papà”. Il volume verrà presentato a Trieste dal giornalista Pierluigi Sabatti domani, mercoledì 20 febbraio, alle ore 18 alla libreria “Minerva” di via San Nicolò 20.
La diaristica ha trovato grande attenzione nella pubblicistica più recente. Rappresenta infatti la testimonianza di una memoria collettiva. Ancor più interessante quando gli autori sono gente comune. Si può ricordare a questo proposito che in Italia, a Pieve Santo Stefano, al confine tra Toscana, Umbria e Romagna, da pochi anni è stato istituito un archivio pubblico che ha lo scopo di conservare gli scritti di memorie private. Questo libro ne è un ottimo esempio.
Ma chi è stato l’autore di queste memorie? A Lussingrande i Budinich (diventati Budini a seguito dell’italianizzazione del cognome) rappresentarono una delle poche famiglie borghesi; questa in ispecie distintasi, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, per l’apporto dato alla cultura e all’insegnamento. Melchiade Budinich, padre dell’autore, per molti anni fu insegnante nella Scuola Nautica di Lussinpiccolo e diede, con alcuni suoi scritti, un importante contributo alla storia patria dell’isola quarnerina. Uno dei figli di Antonio, che nascerà a Lussingrande durante il conflitto, Paolo Budinich, fisico, laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa, fu l’ideatore e fondatore nel 1964, assieme ad Abdus Salam, poi premio Nobel, del Centro di Fisica Teorica di Miramare.
Antonio Budini ebbe anche il merito di pubblicare alcuni brevi saggi, quello sulla famiglia Petrina di Lussingrande, tra le più importanti della marineria lussignana, sin dalle sue origini, e alla quale era legato da lontana parentela, e quello sulla Società navale di Lussingrande.
Queste memorie furono scritte da Antonio Budini nell’estate del 1939, mentre faceva parte a Udine della commissione dell’esame di maturità. Questo scritto, per anni gelosamente custodito dai parenti, è stato ora pubblicato dal nipote, Piero Budinich, titolare della nota casa editrice Beit. Il fronte, prima in Erzegovina poi in Montenegro e, infine, a poca distanza da Caporetto, tra val di Trenta, val d’Isonzo e val Zadnjica, e le azioni di guerra che in questi luoghi si svolsero, fanno da sfondo a una narrazione di vicende umane che videro coinvolto l’autore assieme a decine di migliaia di soldati.
La preoccupazione costante di quell’ufficiale, in servizio dal luglio 1914 all’agosto del 1918, fu la condizione della propria famiglia, trasferitasi, durante il periodo della guerra, da Trieste a Lussingrande, nella casa dei genitori. Ogni lettera che riceveva e che poi leggeva e rileggeva più volte, era fonte di gioia ma anche di dolore. Nell’isola la carestia tormentava la popolazione. I pacchi di viveri inviati dal fronte (grazie all’efficiente servizio postale austriaco egli spedì a Lussino proprio di tutto: marmellata, carne affumicata, zucchero, riso, frutta, petrolio, caffè, latte, senza che un pacco fosse smarrito o manomesso) rappresentarono perciò un aiuto importante per la sopravvivenza della famiglia.
Lo sguardo e il ricordo del tenente Budini erano, quindi, sempre puntati al Quarnero e ogni occasione era buona per ritornare nella propria isola, a costo di sobbarcarsi dei lunghi viaggi. Arrivato a Fiume, lo separava solo l’imbarco sulla nave che allora collegava direttamente questa città a Lussingrande. In un’occasione, per arrivare prima a Lussino, decise di scegliere la nave che lo portava a Smergo per poi raggiungere Cherso. Da qui, nella notte, partì alla volta di Ossero e Lussino. Bellissimo è il racconto di quel viaggio: “Il mio accompagnatore era uno di quei caratteristici tipi taciturni delle isole: credo che, in tutta la notte, non scambiammo dieci parole. Quel silenzio, rotto soltanto dallo scalpitìo dei cavalli e dalla raffiche non forti del vento, mi piaceva. Sentivo l’odore delle salvie, dei mirti, dei timi e nell’oscurità indovinavo il paesaggio brullo, le tipiche masiere, le rare piante d’ulivo, i ginepri contorti e piegati dalla bora”.
La permanenza nell’isola durava spesso solo poche settimane. Il desiderio di essere destinato alla sezione del Küstenschutz che aveva guardie sul Monte San Giovanni, a Cornù, sul Monte Ossero e su altri punti dell’isola, o magari anche su qualcuna delle isole fra Lussino e Zara, non fu mai esaudito. Le partenze erano strazianti, con il distacco dalla sua casa e dalle persone care. Potevano essere partenze senza ritorno atteso che l’avvenire era pieno di incognite.
Ogni pagina delle memorie costituisce un’attenta introspezione nella variegata umanità con la quale l’autore viene a contatto. Quella della trincea, contrapposta alla disumanità della guerra. Quella del paese natio, ancora fatta di schietti rapporti tra paesani che negli anni successivi il fascismo e l’esodo della quasi totalità della popolazione di cultura italiana, irrimediabilmente sconvolgeranno. Il volume è arricchito da un eccezionale corredo iconografico conseguente alla passione per la fotografia dell’autore.
E’ stato detto, molto efficacemente, che nella sofferenza e nel pericolo il diario sembra essere un modo per rimanere presenti a se stessi; la sua aderenza al tempo reale consente di esprimere l’intensità emotiva, ma racchiude anche il senso della fragilità vitale e dell’annullamento del futuro. Queste memorie, quindi, sono un importante testimonianza che sfugge dalla rigida distinzione tra genere storiografico o narrativo, collocandosi, piuttosto, tra i cosiddetti “libri dell’anima”, intesi come cristallizzazione di un raccontare che è anche narrazione storica.
Alessandro Giardossi
“la Voce del Popolo” 19 febbraio 2013