La parola che adesso si sentiva più di frequente era ‘esodo’. Capivo che l’esodo era la nostra salvezza, ma era anche la nostra paura e la nostra sconfitta: era l’addio a tutto quello che ci era appartenuto. Non avremmo più avuto le nostre case, le scuole, il nostro mare, i giardini di Pola. Soltanto la mamma non voleva sentir pronunciare quella parola, e soltanto il nonno riusciva a fargliela ascoltare. Così l’esperienza lacerante dell’esilio entra, con la sua ambivalenza percettiva tra speranza e perdita, nella esistenza del protagonista del romanzo di Stefano Zecchi Quando ci batteva forte il cuore.
Una vicenda, quella dell’esodo, che Petacco ha definito in un suo libro, come recita il sottotitolo di un suo libro, La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, molto complessa nelle sue implicazioni belliche e politiche, per la quale ancora oggi gli storici non hanno individuato una interpretazione condivisa, col rischio di proporre delle analisi settoriali e talvolta settarie.
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