Fiume città di matrice italiana, ma multietnica. Fiume mosaico di lingue, culture e religioni. Fiume all’incrocio tra i mondi latino, slavo, germanico e magiaro. Questo armonioso mosaico è stato tuttavia sconvolto nel Novecento, con l’Olocausto di 6 milioni di ebrei che ha pesantemente colpito pure la componente ebraica di Fiume.
Proprio a Fiume ebraica è stata dedicata lunedì 3 luglio una serata culturale presso la Casa del Ricordo dal Comitato provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e dalla Società di Studi Fiumani in collaborazione con l’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo – Libero Comune di Fiume in Esilio.
Il Maestro Francesco Squarcia ha aperto i lavori interpretando con la sua viola il brano principale della colonna sonora del film Schindler’s list, con una dedica speciale a Mario Diracca, esule fiumano e dirigente dell’Anvgd venuto a mancare l’anno scorso dopo aver tra l’altro avviato felicemente l’iter affinchè l’amministrazione comunale di Città Sant’Angelo conferisse al musicista della comunità italiana di Fiume ed alla Senatrice Liliana Segre la cittadinanza onoraria, in quanto simboli di due tragiche vicende storiche.
Introducendo poi il convegno, Donatella Schürzel (Presidente Anvgd Roma) ha ricordato la consolidata e proficua collaborazione che il comitato Anvgd da lei presieduto ha instaurato con la Comunità Ebraica della capitale; con riferimento al contesto fiumano, ha invece ricordato come, restando in ambito alto Adriatico, la florida comunità goriziana sia stata letteralmente azzerata dalla Shoah, mentre quella fiumana è riuscita a ricostituirsi. Franco Papetti, Presidente dell’Afim, ha quindi ricordato che la comunità ebraica del capoluogo del Carnaro origina da un nucleo di sefarditi giunti da Ancona ai quali si sarebbero poi aggiunti askenaziti provenienti dall’area tedesca e si sarebbe infine creato un nucleo di ortodossi che si costruirono una sinagoga a parte: nel momento di maggiore splendore, tale componente del tessuto sociale fiumano avrebbe contato ben oltre 1000 appartenenti.
Da questa comunità sarebbero emerse figure di intellettuali di primo livello, tra cui Pàl Schweitzer, meglio noto come Paolo Santarcangeli: «Assunse il cognome Santarcangeli per gratitudine nei confronti della località di Santarcangelo, ove trovò rifugio durante le persecuzioni naziste – ha spiegato la professoressa Schürzel – ed in seguito avrebbe istituito la prima cattedra di lingua e letteratura ungherese in Italia all’università di Torino. La sua esperienza di perseguitato dai nazisti viene affrontata nella raccolta di racconti brevi che compone In cattività babilonese, ma è in Il porto dell’aquila decapitata che Santarcangeli fa soprattutto emergere i suoi ricordi di Fiume e spaccati della vita della comunità ebraica cittadina»
La moderatrice dell’incontro Rosanna Turcinovich (direttrice del bimestrale La Voce di Fiume) ha quindi ricordato che, in sinergia con la Comunità degli Italiani di Fiume, l’Afim ha ristampato in italiano e pubblicato la traduzione in croato di In cattività babilonese: «In questo modo anche gli studenti fiumani di madrelingua croata possono conoscere questa pagina di storia e comprendere la complessità che caratterizzava la loro città»
Testimonianze, documenti e ricordi di Fiume nella prospettiva della comunità ebraica si trovano pure presso l’Archivio Museo Storico di Fiume al Quartiere Giuliano-Dalmata di Roma, ma anche nella rivista Fiume e in altre pubblicazioni della Società di Studi Fiumani, come ha ricordato Emiliano Loria, caporedattore di Fiume. Rivista di studi adriatici: «Quando la nostra testata ha ricominciato le sue pubblicazioni in esilio, il suo primo stampatore fu l’ebreo fiumano esule a Roma Pietro Blayer. Così come collaborarono – ricorda ancora Loria – la professoressa Laura Einhorn Ricotti, che ha lasciato la sua testimonianza in un documentario realizzato dall’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio, e Federico Falk, autore di un censimento degli ebrei fiumani da cui si evince quanto fu devastante la persecuzione antisemita a Fiume da parte dei nazisti. Sul nostro sito abbiamo digitalizzato il preciso e puntuale lavoro di Silva Bon Le Comunità Ebraiche della Provincia italiana del Carnaro, Fiume e Abbazia (1924-1945)»
Ironia e nostalgia hanno quindi caratterizzato l’intervento di Gianni Polgar, ebreo fiumano andato in esilio a 3 anni e oggi attivo nell’Associazione Progetto Memoria, grazie alla quale porta la sua testimonianza soprattutto nelle scuole: «Io indosso tre cappelli: sono orgogliosamente ebreo, ma anche fiumano e pure romano. Ho lasciato la mia città natale da bambino, ne ho pochi ricordi, ma poi l’ho soprattutto idealizzata attraverso ciò che sentivo in famiglia. Ero così legato a questa immagine che non ho mai voluto tornare a Fiume: mi sono deciso a farlo adesso per portarci i miei figli e nipoti a riscoprire le loro radici. A differenza della comunità ebraica fiumana, aperta e dinamica come la città in cui si era sviluppata, quella romana, in cui ho poi ricoperto anche alcuni incarichi, appare chiusa e diffidente, retaggio dei secoli di reclusione nel Ghetto»
Di quella che è la situazione attuale della comunità ebraica quarnerina ha riferito Rina Brumini, Vicepresidente della Comunità ebraica di Fiume: «Una trentina di persone frequenta attivamente le nostre attività ed un centinaio sono gli iscritti, eppure nei censimenti ufficiali croati ben pochi dichiarano questa loro appartenenza: c’è ancora reticenza a manifestarsi pubblicamente. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Shoah e l’Esodo, la comunità, ridotta ai minimi termini, risorse grazie anche all’apporto di ebrei giunti da altre zone della Jugoslavia, il ché però dette luogo a problemi di comprensione linguistica e di coesione iniziale. Il tutto aggravato dal fatto che nell’intera Jugoslavia comunista ed ufficialmente atea vi era un solo Rabbino, per cui non era semplice svolgere in maniera adeguata riti e celebrazioni»
Dal contesto fiumano la prospettiva è stata quindi allargata da Federico Goddi, intervenuto in rappresentanza della Fondazione Museo della Shoah di Roma ed autore di una relazione inerente la condizione degli ebrei nel Governatorato di Dalmazia, costituito dalla provincia di Zara cui si erano aggiunte quelle di Spalato e di Cattaro dopo la sconfitta della Jugoslavia nell’aprile 1941: «Per gli ebrei perseguitati dai tedeschi nella Serbia occupata o dagli ustaša nello Stato Indipendente Croato, la Dalmazia sotto controllo italiano rappresentava un’ancora di salvezza, anche se a Spalato nel 1942 gli squadristi assaltarono la Sinagoga in un vero e proprio pogrom. Le autorità ufficiali cercavano di frenare l’afflusso di profughi ebrei, ma sul campo, per motivazioni umanitarie oppure per distinguersi dagli alleati croati e tedeschi con cui i rapporti non sempre erano cordiali, l’esercito assicurò in molte circostanze protezione ed asilo».
Franco Laicini è, infine, intervenuto non solo come appartenente alla Società di Studi Fiumani ma anche come socio della Sezione di Roma del Club Alpino Italiano, la quale, fra le prime in Italia, ha svolto una ricerca nei propri archivi riguardo le discriminazioni compiute nei confronti degli ebrei dopo la promulgazione delle leggi razziali. Molto toccante è stato però il momento in cui ha mostrato un vecchio orologio da taschino: era tutto ciò che restava di una famiglia di quattro ebrei fiumani deportati in campo di concentramento e mai ritornati.
Prima del vin d’honneur conclusivo, Papetti ha anticipato che l’Afim intende affrontare ancora l’argomento dedicando prossime iniziative all’autonomista Angelo Adam (sopravvissuto ai lager ma non alle epurazioni titine) e al funzionario della questura di Fiume Giovanni Palatucci, morto a Dachau dopo essersi adoperato per salvare più ebrei possibile.
Lorenzo Salimbeni