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Strefano Zecchi e il suo romanzo sull’esodo (Voce del Popolo 11 nov)

RECENSIONE di Nelida Milani Kruljac

Ancora un romanzo sull’esodo dall’Istria. Autore Stefano Zecchi, professore di estetica e romanziere, fugace frequentatore di salotti televisivi in veste di opinionista. Esodo da Pola o, più che esodo, fuga da Pola, per raggiungere Pirano e da lì, con un bragozzo, Trieste. Dopo una lunga ed umiliante permanenza in un luogo di prima accoglienza, nelle baracche di via Campo Marzio, padre e figlio riparano a Venezia. Sempre seguiti dal fedelissimo cane Tommi e confortati dalla filosofica conclusione di ogni loro discorso “poi vedremo”. Di “poi vedremo” in “poi vedremo”, da una piccola baracca alla mensa dei frati, dagli uffici dell’anagrafe alle passeggiate lungo la riva degli Schiavoni, a Rialto, dalla scuola elementare Armando Diaz con al collo di Sergio il cartello “profugo” al mestiere di strillone di papà Flavio in piazza San Marco, il calvario dei due dura parecchi anni. Poi la risalita: Flavio che suona il violino nell’orchestra del caffè Florian, Sergio che avanza negli studi e si prepara un avvenire sicuro. Tanti “poi vedremo” per costruirsi una nuova vita insieme.

Infatti, sono cresciuti insieme, padre e figlio, Flavio e Sergio, dalla soggezione e diffidenza all’affetto e conoscenza reciproca, in un cammino avventuroso, segnato da stenti e grandi sofferenze, durante il quale hanno imparato ad amarsi e a capire che la sola salvezza stava nell’essere uniti, nel fare famiglia. Una vera e propria educazione sentimentale. Anche senza la moglie e mamma Nives, molto vicina a Maria Pasquinelli e impegnata in un’attività clandestina di resistenza agli occupanti slavi – da molti chiamati liberatori – che la separerà dai suoi cari e a causa della quale sparirà in una foiba, quando l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia travolge l’esistenza della popolazione appena uscita dalla guerra e quando saccheggi e uccisioni di italiani fascisti o presunti tali erano all’ordine del giorno.

Narrativa pura, moltissimi i dialoghi. Un linguaggio sobrio che conosce la misura delle parole e la loro essenzialità. Un libro che serve a combattere la rimozione della memoria. Qualche svista, qualche esagerazione, ma “Quando ci batteva forte il cuore” rimane un romanzo di facilissima lettura anche per i nostri ragazzi. Un libro con il quale si possono affrontare argomenti delicati nella nostra scuola attraverso la commovente avventura umana di un padre e del suo bambino di sei anni. I libri servono a far riflettere, a formare la testa critica dell’alunno. Se ne può anche fare a meno. Ma rimuovere il passato, cancellare la memoria, significa rimozione dell’identità. Non ne abbiamo abbastanza? E se facessimo suonare la nostra campana? Dai ricordi delle nostre famiglie e dai libri che li sorreggono, affinché ciò che è stato non sia più, non ci si dovrebbe liberare mai.
 

 

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