Faccio un resoconto di quanto mi raccontò mio padre che fu testimone oculare di un tragico fatto. La sua famiglia abitava da qualche secolo a Strugnano e aveva la casa (tuttora esistente) che confinava con i terreni dei frati cappuccini del noto santuario. Aveva combattuto sul fronte russo con l’esercito austro ungarico. Fatto prigioniero dai cosacchi, lavorò vicino a Kirsanov in un’immensa tenuta di una baronessa zarista e partecipò successivamente in prima persona, assieme a numerosi triestini ed istriani, anche alla Rivoluzione d’Ottobre. Tornò a casa nel 1919.
Il 19 marzo del 1921, festa di San Giuseppe, si svolgeva al piano terra della sede della Lega Nazionale, la tradizionale festa da ballo con gente che era arrivata con il trenino della Parenzana anche da Isola e da Pirano. Era pomeriggio inoltrato e nell’area antistante, al centro della quale c’era un grande olmo, giocavano numerosi bambini. Questo albero fu fondamentale nel destino della gente. La stazione della ferrovia era adiacente all’edificio della festa danzante. L’episodio luttuoso avvenne poco dopo, con l’arrivo del treno proveniente da Trieste, che si era fermato regolarmente in stazione per far scendere i passeggeri e farne salire altri.
Appena il treno si mise in moto per ripartire, si udirono dei colpi di arma da fuoco e mio padre uscì immediatamente dalla sala interna per vedere cosa fosse successo. Ebbe solo il tempo di vedere gli ultimi vagoni del convoglio che stavano entrando nella galleria che portava a Portorose. Sul prato giacevano i corpi di due bambini, Domenico Bartole e Renato Braico. Avevano avuto la sfortuna di giocare davanti al grande olmo, mentre gli altri vennero salvati dai proiettili proprio dal tronco della pianta. Le indagini che vennero svolte non portarono ad alcun risultato. Certe persone testimoniarono che sul treno c’erano numerosi giovani in camicia nera, qualcuno anche ubriaco, che in un primo momento vennero sospettati di essere stati gli esecutori del gesto criminale. Mi sono spesso posto la domanda sui motivi che avrebbero indotto degli italiani a sparare contro una sede che sotto l’Austria era spesso accusata di irredentismo. Ci fu quindi il sospetto che a sparare fossero state altre persone per vendetta, facendo cosi incolpare i fascisti, che comunque non erano ancora al potere in Italia.
Dopo il 1945 venne eretto sul posto un piccolo monumento a forma di obelisco. Il cognome Braico è stato slavizzato in Brajko. Curioso anche il fatto che tra i caduti della guerra partigiana incisi sul monumento, è inserito il nome di Sisto Valente, un primo cugino di mio padre, che venne prelevato nella notte da ignoti in casa dei genitori, dopo che aveva attraversato tutta l’Italia lasciando Taranto dopo l’8 settembre 1943, dove aveva prestato servizio in Marina. Di lui non si seppe più nulla.
Nel dopoguerra la famiglia venne informata che era caduto “eroicamente” nella zona di Villa del Nevoso. Sua sorella Nerina, esule a Trieste tentò in seguito di ritrovare il luogo della sua sepoltura attraverso le autorità di Belgrado, ma non approdò a nulla. Oggi il paesaggio non è cambiato molto, non c’è più la ferrovia, ma gli edifici sono sempre gli stessi. Al piano terra, dove si ballava, ci sta un’osteria che cucina bene il pesce. Se chiedi come si chiama la località, ti rispondono “se ciama Lega po’, come de sempre”. Hanno ragione, infatti da bambino quando andavo a visitare i miei nonni, mi ricordo che il luogo era chiamato proprio Lega in memoria della sede della Lega Nazionale.
Pietro Valente
“Il Piccolo” 9 ottobre 2012