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Sul Carso uno dei più antichi accampamenti militari romani (CorSera 18gen13)

Se Istri e Liburni non avessero infastidito con le loro scorribande le navi romane che solcavano l’alto Adriatico già nel III secolo a. C., costringendo Roma a una serie di scontri armati, lo storico latino Tito Livio non avrebbe raccontato queste vicende nel suo Ab urbe condita e forse noi, oggi, non saremmo qui a parlarne. In realtà, a interessarci non sono le cosiddette guerre istriane, conflitti fra romani e alcune «… tribù selvagge e famigerate» che abitavano l’Istria, bensì un accampamento militare romano – con tutta probabilità il più antico edificato in Europa di cui si abbia notizia a oggi – rinvenuto di recente sul Carso triestino, a pochi chilometri in linea d’aria dall’estremo lembo settentrionale dell’Adriatico.

 

Secondo i ricercatori che ne hanno analizzato la struttura e i reperti rinvenuti all’interno, l’accampamento militare potrebbe risalire all’ultima delle tre guerre istriane, quella del 178-177 a. C., scoppiata apparentemente senza un movente preciso o, forse, per dare agli Istri una dimostrazione di forza e proteggere la vicina colonia di Aquileia, avamposto romano verso est sorto pochi anni prima, nel 181 a. C. Alla fine del II secolo a. C., infatti, i romani avevano conquistato l’Italia settentrionale e si stavano spingendo verso oriente, dove vivevano gli Istri, assai poco propensi a cedere il controllo dei loro territori e dell’alto Adriatico.

 

A scoprire lo straordinario sito archeologico – una struttura a mappa rettangolare di circa 165×134 metri, orientata in direzione nord-sud, contenente una seconda cinta di mura più interne – è stato un team italiano guidato dall’archeologo Federico Bernardini e con la partecipazione del fisico Claudio Tuniz, entrambi del Laboratorio multidisciplinare dell’Ictp (Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam di Trieste). Lo studio fa parte del progetto Exact (Ictp e Sinctrotrone Trieste) finanziato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia: è stato completato in tempi relativamente brevi, sei mesi appena. A breve il lavoro completo verrà pubblicato dalla rivista Journal of Archaeological Science.

 

La scoperta è avvenuta quasi per caso, nell’ambito dell’allestimento da parte del Centro didattico naturalistico di Basovizza (vicino a Trieste) di un percorso turistico sul monte Grociana piccola, in passato ritenuto sede di un castelliere. «Grazie a una serie di voli in elicottero», spiega Bernardini, non nuovo a studi del genere, «qualche anno fa la Protezione civile del Friuli-Venezia Giulia aveva raccolto una gran quantità di immagini, che abbiamo elaborato solo in tempi recenti con l’aiuto di un esperto in analisi di dati Lidar».

 

Il Lidar (Laser Imaging Detection and Ranging) è una tecnica di telerilevamento che usa un raggio laser per scansionare una superfice. Calcolando il tempo che intercorre fra l’emissione di un raggio laser e la ricezione del segnale riflesso dal terreno (o da un ostacolo) è possibile creare un modello bidimensionale di un territorio e rivelarne i dettagli anche attraverso la vegetazione, com’è il caso dell’accampamento militare romano ben celato sotto un fitto bosco di pini. «L’altissima risoluzione del Lidar», prosegue Bernardini, «ci ha permesso di ottenere una mappa topografica del terreno con un’accuratezza superiore a 15 centimetri».

 

«Pur essendo relativamente grande», spiega Claudio Tuniz, responsabile del Laboratorio di imaging ai raggi X dell’Ictp dove sono state eseguite alcune analisi sui reperti rinvenuti fra le mura di cinta, «la struttura è rimasta a lungo nascosta, complice il fatto che, nel 1903 in questa stessa zona, era già stato segnalato un castelliere, dunque a nessuno era venuto in mente di cercare altre costruzioni». Ad aiutare gli studiosi nella datazione dell’accampamento sono stati i frammenti del collo di alcune anfore, dalla forma caratteristica e facilmente ascrivibile a quest’epoca. «L’aiuto che la microtomografia a raggi X ci ha fornito è straordinario», commenta Tuniz, esperto di datazioni archeologiche. «Con questa tecnica non invasiva possiamo viaggiare virtualmente all’interno del campione. Le immagini tridimensionali e le sezioni del collo delle anfore ci dicono che sono state realizzate in un periodo compreso tra la fine del II secolo a. C. e l’inizio del primo».

 

Accanto a questo straordinario ritrovamento, che potrebbe confermare in via definitiva un frammento di storia passata dai contorni ancor nebulosi, aggiungendo preziose informazioni sull’evoluzione dell’architettura militare degli antichi romani, i rilevamenti aerei e le successive analisi delle immagini hanno portato all’identificazione di una decina di altri siti protostorici (età del bronzo e del ferro) e preistorici prima sconosciuti, come alcuni castellieri di pochi metri di diametro. «Sei mesi di lavoro con le nuove tecnologie hanno prodotto più risultati di un secolo di archeologia tradizionale, e non è finita qui», conclude Bernardini. «La zona è ancora ricchissima di storia sommersa ed è verosimile che nuove sorprese siano prossime ad affiorare».

 

Cristina Serra

“Corriere della Sera” 18 gennaio 2013

 

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