Il prof. Elio Varutti, dirigente del Comitato provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, con la collaborazione di Claudio Ausilio, delegato Anvgd di Arezzo, ha pubblicato per i tipi di Aska La Patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul centro raccolta profughi giuliano dalmati di Laterina 1946-1963.
Il volume sarà presentato a Trieste domenica 26 settembre 2021 alle ore 15,30 durante la rassegna libraria “La Bancarella. Salone del libro dell’Adriatico orientale” e a Laterina (AR) il 2 ottobre 2021 presso il Teatro alle ore 17,30.
Il Presidente nazionale dell’Anvgd, Cav. Renzo Codarin, ne ha scritto la prefazione.
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Sradicati dalla terra in cui affondavano da secoli le radici delle proprie famiglie, scaraventati a tempo indeterminato in Centri Raccolta Profughi sparpagliati in tutta Italia ed infine reinseriti in contesti urbani nuovi e non sempre ospitali, alle volte addirittura in un altro continente. Le tappe di questa Via Crucis hanno contraddistinto il dopoguerra di decine di migliaia di esuli istriani, fiumani e dalmati che avevano sperimentato sulla propria pelle e a danno dei propri cari le stragi delle foibe, le persecuzioni, le violenze ed i crimini della dittatura comunista che Josip Broz “Tito” stava costruendo in quella Jugoslavia cui l’Italia era stata costretta a cedere con il Trattato di Pace del 10 Febbraio 1947 gran parte delle terre conquistate a costo di immani sacrifici durante la Prima Guerra Mondiale.
Elio Varutti e Claudio Ausilio, dirigenti territoriali dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, hanno svolto in queste pagine un meticoloso lavoro archivistico, bibliografico, documentaristico e di raccolta di testimonianze per portare alla luce quella che è stata la storia di uno dei tantissimi CRP che hanno ospitato la diaspora adriatica. I tratti in comune con altre storie che tristemente già conosciamo sono molteplici: le condizioni igienico-sanitarie precarie, la promiscuità, le coperte stese per delimitare gli spazi a disposizione di ogni nucleo familiare all’interno di strutture fatiscenti, i rapporti non sempre cordiali con gli abitanti delle località limitrofe… All’interno di questo quadro allucinante emergono tuttavia le peculiarità dell’esperienza di Laterina, una località di 3000 anime circa in cui ad un certo punto il numero dei profughi accolti supera quello della popolazione. Ed in questa cittadella racchiusa in quello che era stato un campo di prigionia le testimonianze raccolte attestano che si cercava di creare la normalità, soprattutto per quanto riguardava le nuove generazioni, attraverso l’istruzione e la somministrazione dei Sacramenti.
Particolare, ma non specifico del Campo di Laterina è a tal proposito l’avvicendarsi di destinazioni d’uso di una struttura: anche Fossoli presso Modena e Servigliano nelle Marche sono stati campi di prigionia allestiti dal Regio Esercito prima dell’8 settembre, passando poi all’amministrazione nazista che ne avrebbe fatto luogo di raccolta anche degli ebrei destinati allo sterminio nei campi di concentramento. Un sovrapporsi di memorie e di tragedie che ha nella Risiera di San Sabba a Trieste il caso più eclatante: il campo profughi allestito dall’amministrazione militare angloamericana sulle macerie del camino di un forno crematorio è quasi dimenticato, sommerso dalla tragica ed efferata vicenda che riguardò il Polizeihaftlager nazista. Risulta triste constatare come luoghi di detenzione, di tortura e di morte siano stati rapidamente convertiti in siti di prima accoglienza per intere famiglie di tutte le estrazioni politiche e sociali sulle cui spalle era ricaduto l’onere di una sconfitta che aveva riguardato l’Italia in toto. Mentre donne, anziani e bambini si affastellavano in questi ambienti così malsani e con restrizioni di libertà inattese ed umilianti, le loro case, i loro terreni, le botteghe e gli impianti in cui lavoravano nella propria città natale venivano nazionalizzati dal regime di Belgrado e l’Italia ne faceva una partita contabile per estinguere le riparazioni dovute alla Jugoslavia che le erano state imputate in sede di Conferenza di Pace.
A Laterina come altrove genitori e adulti cercavano di costruirsi una vita professionale al di fuori del campo, le nuove generazioni stringevano relazioni di amicizia ed affettive con i coetanei toscani che guardavano con sempre meno diffidenza i nuovi arrivati, anche perché nel frattempo la situazione sociale ed economica italiana migliorava ed il reinserimento dei giuliano-dalmati diventava meno problematico. Nel frattempo, però, in tanti avevano abbandonato l’Italia cercando fortuna all’estero, molti si erano persi nella follia e nella disperazione per le umiliazioni subite, così come tantissimi avevano fortunatamente trovato occasione di riscatto nell’ambito sportivo o professionale, con umiltà e lavorando sodo, come gli era stato insegnato in famiglia.
Luci e ombre, rinascita e morte, speranza e sconforto, gioia e tristezza: l’affresco di Laterina che qui emerge contribuirà a dimostrare che la catastrofe dell’Esodo giuliano-dalmata richiede sensibilità nella sua trattazione. Questo sradicamento dall’Adriatico alla Valdarno non è una vicenda di storia locale, bensì una pagina che gli autori ed i testimoni coinvolti hanno scritto in una sezione di storia nazionale che non si può più negare, giustificare o contestualizzare in maniera forzosa in scenari più ampi per stemperarne la tragica portata. Possa da qui iniziare una sempre più approfondita collaborazione tra le rappresentanze dell’Anvgd e le amministrazioni locali toscane affinché le nuove generazioni scoprano questo legame tra la loro terra e la sponda dell’Adriatico orientale in cui Dante poneva a Pola i confini d’Italia.
Renzo Codarin
Presidente nazionale Anvgd