di Mauro Manzin
«Puttana del presidente»? Voci messe in giro dai suoi detrattori (e sono stati tanti). Jovanka è giunta al matrimonio con Josip Broz Tito (quarta moglie) illibata. Non ha dubbi Demetrio Volcic per anni la voce della Rai dall’Unione sovietica, ex europarlamentare e grande conoscitore dei fatti balcanici. «Jovanka – spiega Volcic – dopo anni di silenzio, anche se oggettivamente ha rilasciato interviste a giornali statunitensi e tedeschi, capisce che oggi il regime è meno duro». A suo sfavore le origini. Non è croata della Lika, ma serba della Lika, la regione dove scoppiò il conflitto serbo-croato per l’indipendenza di Zagabria. E poi Jovanka fu «gentilmente» convinta a strasferirsi nella villa a pochi metri dalla Casa Bianca (palazzo presidenziale) prima della morte di Tito perché «rompeva le scatole». Il Maresciallo, in quel periodo, veniva poco a Belgrado proprio per non incontrarla.
Eppure tra i due c’è stato un grande amore. «Jovanka – racconta Volcic- è una ragazzina giovane che nel 1946-47 viene alla corte di Tito e fa parte del personale di servizio. È una tipica bellezza serba, magra ma estremamente sensuale. Rimane in quel entourage fino al 1951. Pochi erano quelli, spiega Volcic, che azzardavano una relazione tra lei e il Maresciallo. Ma poi Tito si ammalò improvvisamente. E lei, Jovanka è lì presente. E quando il medico, il dottor Lavrecic di Lubiana esce dalla stanza di Tito assieme con Milovan Djilas, lei per la prima volta vince ogni renitenza e chiede se Tito se la caverà. Questo era il primo segnale. Alcuni mesi dopo il Maresciallo Tito la manda a Roma presso la famiglia dell’ambasciatore jugoslavo Velebit. E Velebit, spiega Volcic, non sa ancora niente. Lui la accetta perché il protocollo l’ha mandata. Jovanka, dunque, conosce Roma, la sua storia e i suoi monumenti. Velebit porta Jovanka a fare i bagni a Ostia e, guarda caso, proprio lì, l’ambasciatore jugoslavo si crea un’amicizia con chi? Ma con Giulio Andreotti.
E l’ambasciatore Velebit capisce da molti segnali chi fosse veramente Jovanka. Capisce che da questa relazione conil Maresciallo scaturirà un matrimonio. Lei nasce da una casa di contadini abbastanza ricchi, con 5 figli. Finisce le scuole d’obbligo, poi supera la maturità e impara tre lingue. E i professori avevano avuto l’incarico di trattarla come gli altri. Quindi nessuna corsia preferenziale. «Evidentemente – precisa Volcic – Tito non voleva accanto a sè una cretina». Ma come venne il turno di Jovanka (la quarta moglie del Maresciallo)? Tito perse la sua segretaria durante la guerra. Lei si ammalò di tubercolosi. La mandarono in Russia, ma non ci fu nulla da fare. Morì poco dopo il ritorno in Jugoslavia nel 1946. E Tito da solo, con l’aiuto di qualche fedele polizotto, la spellì sotto la finestra del suo giardino alla «Casa Bianca» a Dedinje. «Era una ragazza molto nevrotica – ricorda Volcic – ma dal 1941 al 1945 fu la terza donna di Tito».
Siamo nel 1946 e Djilas chiede al ministro degli Interni Rankovic riferendosi a Jovanka: «Ma compagno Rankovic non dirmi che anche questa è dei nostri servizi?» E Rankovic nel negare è debole nella risposta. Tito dopo la morte della sua terza moglie aveva bisogno di distrarsi. La prima «distrazione», racconta Volcic, fu Zinka Kunc, cantate del Metropolitan di New York di origine serba e moglie di un generale jugoslavo. Ma a Djilas e Rankovic questa «simpatia» non va a genio. Ecco allora che decidono di mettere Jovanka ai servizi di Tito. Bellissima, ufficiale dell’esercito (maggiore), forse anche pedina dei servizi segreti. Perché qualcuno nell’entourage sperava sinceramente che la natura, e la fama di sciupafemmine del Maresciallo, facesse il suo corso.
Jovanka era una donna timida. Girava sempre in uniforme e abbassava gli occhi. Era a disposizione ventiquattro ore su ventiquattro di Tito. Nacque una storia d’amore di cui erano a conoscenza solo le tre guardie del corpo del Maresciallo. E questi per fregare Jovanka, perché la odiavano in quanto temevano che li denunciasse presso Tito (e allora la denuncia corrispondeva o alla Corte marizale o a una condanna a Goli Otok, da cui il nomignolo affidato a Jovanka di «puttana del presidente») assaggiavano ogni sera tutti i cibi che lei preparava a Tito per vedere che non fossero avvelenati.
Dopo il matrimonio, cui arrivò illibata, il primo che incontra ufficialmente la signora Broz è Lord Eden che ne rimane positivamente impressionato. Di lei e di Tito il sornione Djilas afferma: «Sorridono un po’ troppo tutti e due». Lei ha gioielli troppo preziosi. È troppo gentile e lui è troppo «azzurro» nelle sue uniformi. «Tutto era un po’ troppo», precisa Volcic. Questi sono i primi segnali di una personalità forte. Poi Jovanka si calma e sta tranquilla per dieci, quindici anni. Successivamente però, sicura del suo ruolo, se non addirittura arrogante, inizia a diventare «comandosa» come la definisce Volcic. E qui che lei comincia a criticare i collaboratori del Maresciallo fino a quando lui non li caccia.
A età avanzata Tito si trova nel 1975 due bellissime massaggiatrici serbe, 22 anni, bionde. «Le due – racconta Volcic – massaggiarono molto il Maresciallo. E Jovanka si incazzò. Non per politica ma per gelosia. Quando Tito fece l’ultimo viaggio in Russia e in Cina ci andò da solo. E ciò fece molto scalpore. Volle fare la visita con Jovanka la quale però con fermezza replicò: ”O io, o le due massaggiatrici”». E Tito scelse le massaggiatrici.