Tito, cade la maschera, si smonta il mito; si ricostruiscono i retroscena della sua scalata e permanenza al potere, la violenza con cui colpì rivali, nemici reali o “di comodo”; si restituisce il personaggio storico, controverso, contestato e glorificato, alla sua umanità. Affrancato dall’utopica filosofia rivoluzionaria di stampo leninista, risorge ai nostri occhi come un agente segreto tanto acuto quanto spregiudicato e privo di scrupoli, cresciuto all’ombra dell’apparato cominternista di Stalin, ma che da questi si emancipò, diventando condottiero e statista con un destino proprio.
Questo, almeno, il ritratto che emerge da “Tito. Le storie sottaciute” (nell’originale “Tito. Neispričane priče”, edito da Nezavisne novine/Paragon, Zagabria 2013), volume che ha per sottotitolo “L’impero segreto di Josip Broz Tito”, appena sbarcato nelle librerie in Croazia, ma stampato a Banja Kuka, nella Repubblica Serba della Bosnia ed Erzegovina.
A 33 anni dalla scomparsa del “presidente a vita”, a svelare inediti aspetti della vita del Maresciallo e dell’apparato politico-repressivo di cui si circondò e si servì, sono due autori, uno storico italiano e un editorialista croato con il pallino per il passato: William Klinger e Denis Kuljiš.
Un connubio singolare, che sposa il rigore scientifico e metodologico tipico della ricerca con l’approccio giornalistico, massmediologico e divulgativo, a tratti con toni da scoop ed effetti sorpresa. Insomma, uno studio storico costruito con il passo narrativo di un thriller politico-spionistico, appassionante e avvincente.
“Questo libro rompe il circolo vizioso dell’apologia e della negazione primitiva e finalmente restituisce Josip Broz a quel contesto mondiale del quale, del resto, ha sempre fatto parte. Lo sprovincializza, ma sprovincializza anche l’interesse (storiografico, ndr) per Tito”, rileva Vuk Perišić, fiumano laureato in legge, saggista e columnist (“Jutarnji list”, “21. stoljeće”, “Peščanik”, “T-portal”, “Banka”). Il professor Geoffrey Swain, dell’Università di Glasgow, già autore di “Tito: A Biography” (Londra, 2012), accenna invece allo straordinario risultato, all’importante contributo che l’opera costituisce per una migliore comprensione del fenomeno Tito.
Dopo che lo scorso anno era uscito il saggio “Il terrore del popolo: storia dell’Ozna, la polizia politica di Tito” (Edizioni Italo Svevo, Trieste, da quest’anno anche in croato), che aveva suscitato interesse e diversi plausi, Klinger torna ad approfondire l’argomento Tito, alla luce soprattutto di una serie di testimonianze finora inedite, rese da chi operò in stretto contatto con il presidente jugoslavo e lo affiancò nella sua carriera di statista.
Infatti, le circa cinquecento pagine di questo nuovo lavoro, oltre a documenti d’archivio contengono i racconti di decine di generali e funzionari jugoslavi, britannici e sovietici. Sono confluiti nel libro materiali raccolti a suo tempo per la realizzazione di un ciclo di documentari televisivi – mai trasmesso – che avrebbe dovuto far luce sulla storia personale di Tito. Il presidente stesso, in un’intervista registrata a più riprese negli anni Settanta, aveva dato istruzioni e direttrici precise per la raccolta delle testimonianze dei superstiti. Il tutto venne stenografato e inviato a Belgrado, posto sotto la vigilanza del servizio di controspionaggio militare jugoslavo, che all’epoca stavano sorvegliando gli uomini dell’entourage più stretto di Tito.
L’analisi critica di queste fonti ha consentito ai due autori di far luce sulle tante zone d’ombra e punti da chiarire nella carriera politica di Tito, nella sua “maturazione” da agente del Cominern a leader dell’insurrezione partigiana e a unico rivoluzionario che, dopo Lenin, riuscì a portare a termine con successo un “ribaltone” comunista sul Vecchio Continente. Infatti, nelle numerose opere finora pubblicate sulla guerra partigiana nei Balcani e nelle varie sintesi sulla storia del Partito comunista jugoslavo, non si era mai tentato di spiegare la specificità della “rivoluzione jugoslava”.
Ed è appunto questo l’aspetto centrale che hanno voluto trattare Klinger e Kuljiš, mettendo a fuoco il decennio – per molti versi enigmatico – tra il 1934 e 1944, senza pertanto trascurare i successivi sviluppi e centrare quella che in effetto fu l’autentica “specialità”, il talento di Tito: la tecnica della sopravvivenza.
Emerge che Josip Broz non è stato altro (e non è poco!) che un “grand master of survival”: più alto era il pericolo, meglio lui funzionava. Si spiega così tutta la sua parabola politica, da oscuro sindacalista zagabrese a presidente di un piccolo Stato trasformato in impero balcanico di importanza mondiale. Sotto sotto, però, Tito resterà sempre l’audace vedetta dell’esercito austro-ungarico, il sergente della Königliche und Kaiserliche (KuK) Armee inviato in missione speciale in Russia, sul Fronte orientale nel 1915.
Il suo approccio alla politica, infatti, sarà prettamente cospirativo: cosciente di sé, credeva solo in sé stesso e nonostante riuscisse a essere molto affabile e affascinante, non abbassò mai la guardia, né svelò mai il suo fine ultimo. Nemmeno in punto di morte. Sul tavolino accanto al letto del Centro clinico di Lubiana, dove era stato ricoverato nel 1980, prima di spirare, tenne sempre con sé una borsetta: dentro teneva la sua pistola.
Il corposo saggio di Klinger e Kuljiš è dedicato alle “vittime del vittorioso”, è corredato di un indice dei nomi e di una bibliografia generale “ragionata”, con tanto di annotazioni critiche, e si articola in ventuno capitoli che coprono le tappe più significative dell’ascesa e dell’affermazione del “faraone comunista” che, finché fu in forma, guidò con sicurezza la sua “premiata ditta”, assumendo il ruolo di direttore, re e Dio. Un impero che si mantenne finché lui rimase in vita e per un decennio dopo la sua morte. La sua rivoluzione fu, dunque, più duratura di quella di Akhenaton/Amenofi IV, concludono gli autori.
“Tuttavia, non riuscì a battere i poteri del mercato e l’entropia della storia – precisano subito dopo –. Il movimento comunista mondiale fallì nei primi anni del Secondo dopoguerra. Arrestato in Europa, fermato nel Mediterraneo, disgregato al suo interno, si frantumò nel mondo perché l’energia dei movimenti di liberazione, in un’epoca di lotte anticolonialiste, invece di incanalarsi verso il rivoluzionario ‘Sendero Luminoso’ lungo il quale marciava Ernesto Che Guevara, si indirizzò verso fronti nazional-popolari, simil-socialisti, che divennero il marchio dei dittatori di maggiore successo. In tutto ciò Tito giocò un ruolo determinante. A nessun anticomunista sarebbe riuscito di realizzare un’opera così magnifica. Il compagno Lenin si sta rivoltando nella sua tomba”, riporta il passo finale del libro “Tito. Le storie sottaciute”, disponibile al momento (purtroppo) solo in croato.
Ilaria Rocchi
“la Voce del Popolo” 11 luglio 2013