L'Italia “non può dimenticare le sofferenze, sino a una orribile morte inflitta a italiani assolutamente immuni da ogni colpa”. E’ quanto ha detto il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, in occasione ieri della “Giornata del ricordo dei martiri delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati”. Questo giorno – ha aggiunto – corrisponde “all'esigenza di un riconoscimento umano e istituzionale già per troppo tempo mancato e giustamente sollecitato”. In tutta Italia si sono ricordate le drammatiche pagine legate alle foibe e all’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia con manifestazioni, mostre, dibattiti e documentari. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Un giorno per non dimenticare la tragica morte di migliaia di uomini, donne, anziani e bambini gettati vivi dai partigiani di Tito nelle foibe, voragini carsiche tipiche soprattutto del territorio della Venezia Giulia e dell’Istria. Si ricordano stragi compiute per colpire quanti si opponevano all’annessione delle terre contese alla nuova Jugoslavia. La memoria di quella tragedia diventa soprattutto un monito da affidare ai giovani, come spiega al microfono di Fabio Colagrande, lo scrittore fiumano Franco Enrico Gaspardis:
"Io mi rivolgo ai giovani che avranno la possibilità di documentarsi, però partendo da una base che non è una base storico-politica, ma è una base di vita, reale; mi riferisco ad episodi realmente accaduti e a fatti che nessuno può negare. Conta il fatto, la tragedia di migliaia di morti. Penso sia l’unica chiave per riuscire a portare avanti, nel tempo, il nostro discorso. Quando noi non ci saremo più, i giovani avranno ancora la curiosità di andare a cercare e ricorderanno".
Si ricordano anche oltre 350.000 persone costrette all’esilio dalle terre natie di Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla repressione dei partigiani del maresciallo Tito. Molte famiglie furono divise e senza più una patria e un lavoro, si imbarcarono sulle navi abbandonando ogni certezza. Molti furono accolti nei campi profughi allestiti in un Paese, l’Italia, stremato dalla guerra. Le comunità italiane furono strappate a forza e cancellate quasi integralmente dai territori in cui erano storicamente insediati. E’ quanto sottolinea, al microfono di Fabio Colagrande, il presidente dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia,
Lucio Toth:
"Una porzione d’Italia è stata staccata dal Paese al quale era stata unita nei secoli, terre dove vivevamo, insieme con altre popolazioni, sloveni verso nord e croati, anche serbi, verso sud. Certamente, terre segnate per millenni da una cultura italiana. Queste tracce sono state strappate violentemente al di là di quello che era necessario per un semplice passaggio di sovranità. L’obbligo forzato di abbandonare il Paese attraverso la violenza fisica, la pulizia etnica, non era mai successo".
Nella prospettiva della memoria e della riconciliazione, assume un grande significato la Beatificazione a Trieste, lo scorso 4 ottobre, del sacerdote istriano don Francesco Bonifacio, ucciso in odio alla fede dai partigiani di Tito.
Ancora Lucio Toth:
"Furono abolite le feste dei nostri Santi, furono abolite le domeniche e fu vietato di amministrare i Sacramenti. Questa fu una delle ragioni dell’esodo, perché essere strappati completamente, anche dalle proprie tradizioni religiose, ha avuto un’importanza determinante. Don Francesco Bonifacio – morto nel settembre del ’46 – volle rimanere, amministrando i Sacramenti, nella sua piccola parrocchia, però i partigiani di Tito non volevano e dicevano che faceva attività rivoluzionaria".
Il Parlamento italiano ha votato nel 2004 la legge che istituisce il 10 febbraio come “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare “la memoria della tragedia di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel Secondo dopoguerra”. E’ una data simbolica che rimanda al 10 febbraio 1947. Quel giorno fu ratificato il Trattato di pace che sanciva il passaggio alla Jugoslavia delle ex province italiane dell’Adriatico.