Siccome oggi non si naviga perché possa riprendermi dalla febbre, vado a visitare Ston, l’antica Stagno. Le sue mura si arrampicano come capre sulle pendici brulle della montagna che la sovrasta per sparire oltre il crinale, e non si riesce a capire di primo acchito il perché strategico di tanta fatica architettonica. Se non ci fosse il talmud adriatico di Dario Alberi – cioè la sua insostituibile guida della Dalmazia – che ce lo spiega chiaramente con una mappa e una messe di ghiotte notizie storiche, verrebbe da dare dei dementi a questi imitatori della Grande Muraglia. Le difese del piccolo, grazioso e importante centro che appartenne alla Repubblica di Ragusa bloccavano l’accesso dalla terraferma alla penisola di Sabbioncello in prossimità dell’istmo che unisce questa quasi-isola al continente. Le saline, vitali per i ragusei, erano difese da questo straordinario complesso di fortificazioni. Le mura sono state restaurate e gli spalti resi agibili, e chi ha fiato e resistenza alla canicola può arrampicarsi sui camminamenti fino a dominare la scacchiera delle saline. 12 luglio Ston (Peljasac) – Meleda (Parco Nazionale, in un bosco).
I due giorni di riposo mi hanno rimesso in sesto, così che possiamo intraprendere gli 11 chilometri di traversata fino a Meleda-Mljet, il cui profilo rivela già da distante il ribollire della sua vegetazione subtropicale. Il kayaker è meteoropatico come i vecchi con l’artrite per cui il vento in poppa rende allegra la nostra pagaiata. Non ci sono barche in vista, salvo un Grand Soleil che batte bandiera italiana e che incrocerò inevitabilmente tra poco. I membri dell’equipaggio, appena si accorgono di me, insorgono con con una serie di esclamazioni in veneto, che si trasformano in un’esplosione di giubilo quando dico loro che il kayak che, a qualche centinaio di metri di distanza, è in arrivo un quasi-vicentino, tale Mariano Storti di Recoaro. Sono gli amici del cuore del mio compagno di viaggio e uno di essi – Andrea Sartori – ha condiviso con lui quasi tutte le spedizioni alpinistiche.
Saliamo a bordo per festeggiare l’incrocio delle nostre rotte che ha del miracoloso, se si considera che né Mariano né i vicentini sapevano dei reciproci viaggi. Il vento oggi continua ad accarezzarci le spalle e le nostre barche surfano sulle onde come delfini. Ci avviciniamo alle coste di Meleda e, quella che ci appare, è un’isola dall’aspetto selvaggio, con una foresta mediterranea che bagna i suoi rami contorti in mare. Oltre al leccio, al corbezzolo e al pistacchio, i prìncipi vegetali di questa esuberante macchia sono sempre i pini d’Aleppo. Sono loro a dare un tono drammatico a questo tappeto verde, e secoli di scirocco hanno impresso ai tronchi un’inclinazione verso nordovest che il fa apparire impegnati, con un vago piglio antropomorfico, in una perpetua marcia controvento. Non ci sono sbarchi fino a Kosarica, un villaggio di pescatori con un piccolo e sicuro porto in pietre e cemento, dove sostiamo per il pranzo.
Due anziani fratelli, pescatori, si informano della nostra odissea in sedicesimo. Sanno anche un po’ l’italiano perché hanno frequentato le scuole al tempo dell’occupazione italo-tedesca della Dalmazia, e uno dei due mi confessa, però a mezza voce, “di essere rimasto un po’ fascista”. Approfittiamo per studiare la carta e studiare il profilo della costa settentrionale con il GPS. Una serie di isole e isolotti, poco distanti dalla costa, trasformano la punta di Meleda in una sorta di fiordo con diverse aperture al mare. Per raggiungere i celebri laghi salati, che si trovano all’interno del Parco Nazionale, dobbiamo passare di lì e decidiamo di infilarci nei meandri invece di tagliare, rimanendo all’esterno dell’isola. Dopo i primi scogli spellati ma striati di verde, l’articolata orografia di questo tratto dell’isola regala degli scorci stupendi, specialmente quando si segue da vicino il profilo delle piccole isole, perché qui l’acqua bassa assume colorazioni e trasparenze intense o delicate a seconda della profondità.
Quando usciamo dal dedalo marino ci aspetta il lungo aggiramento della punta settentrionale. Il sole sta calando e urge trovare un posto dove passare la notte, anche perché, appena doppiato il nostro capo nord, ci troviamo esposti al vento da sud e il mare improvvisamente comincia a montare. Troviamo un’insenatura che pare un lago, tranquilla ma senza evidenza di sbarchi facili. Dopo un’ispezione accurata riusciamo a trovare dei lastroni quasi verticali, distanziati tra loro in modo tale da permetterci di infilarci i kayak. Approfittanfdo di due di questi squeri naturali, peraltro non vicini tra loro, riusciamo a tirare le barche in secca. Sopra di noi, le chiome dei grandi pini d’Aleppo, alcuni dei quali spaccati dal vento. È uno scenario davvero “into the wild”. Piantiamo le tende – anch’io, per via delle zanzare – e poi Mariano si mette al fornello. Menù? Riso basmati con tonno, ovviamente, innaffiato da un buon bicchiere di acqua tiepida: e poi in branda, perché siamo davvero stanchi. Fuori il mare rumoreggia e i pini si agitano. “No buono” penso, perché di solito il brezzone termico, quasi un aperitivo del Meltemi greco, si affievolisce e si spegne quando il sole cala. Forse domani ci toccherà navigare controvento.
Meleda 13 luglio – Come ogni mattina, prima del pappone di avena con banane e frutta e il nescafè, mi faccio una bella nuotata nella baia calmissima. Fuori lo scirocco ci aspetta per farci pagare gli interessi della facile navigazione di ieri. Il GPS e le carte ci avvertono che, prima d’imboccare il canale d’ingresso ai tre laghi salati, una scogliera senza sbarchi non ci perdonerà errori di manovra. Il mare è ancora abbordabile, ma vicino alle scogliere l’effetto lavatrice è destabilizzante e allo stesso tempo spettacolare. Avvicinarsi alle rocce per sentire la respirazione animale del mare fa un po’ paura, ma anche attrae, affascina. Rinforza, ma prima che l’avanzata diventi problematica troviamo l’ingresso ai tre laghi, che sono in successione, uno dopo l’altro. La marea crescente, unita allo scirocco, fa sì che la corrente ci spari dentro un’altra delle grandi meraviglie di questo viaggio. Capiamo subito perché Tito portava i suoi ospiti qui, oltre che alle Brioni.
I tre laghi hanno una colorazione di un verde tenero e vicino a riva sono trasparenti come il vetro, le pendici delle colline sono boscose. Nel secondo lago c’è un’isola in cui sorge un convento, trasformato in bar, albergo e museo. Capiamo di trovarci dietro alla scogliera che abbiamo appena sfiorato. Dopo i laghi, dovremmo dirigerci a sud di Meleda-Ogigia seguendo la costa occidentale, ma Mariano non se la sente di affrontare il mare che da questo lato è agitato. Anche se apparentemente non abbiamo scelta, il mio socio propone una soluzione alla Fitzcarraldo, se qualcuno si ricorda del film con Klaus Kinsky: mettere i k. sui carrelli, spingerli in salita, superare la montagna e scendere dopo più di tre chilometri nel fiordo dove abbiamo navigato ieri. E così, dopo un’ora e mezza da infarto sotto il sole, per di più su una pendenza dell’8%, conquistiamo quota 76, da dove scendiamo sulla costa est dell’isola, a Polace.
Qui si trova un grande complesso palatino di epoca romana, attraversato dalla strada del paese che entra da una porta ed esce dall’altra. È una rovina superba, di grande interesse, attorno alla quale è sorto l’abitato che deve il suo nome – Polace – proprio alla presenza del palazzo. Ci riposiamo un po’ prima di riprendere il mare. Le rive sono irte di scogli e non c’è uno straccio di spiaggia. Così ci rimettiamo in mare aperto e, controvento, raggiungiamo con una certa fatica Kosarica, dove arriviamo stanchi e affamati. I due anziani fratelli pescatori, conosciuti ieri, sono evidentemente una sorta di autorità locale perché, dopo aver ascoltato le nostre avventure, ci danno il permesso di dormire sul molo: “Qui la polizia siamo noi: buona notte”. Nell’unico ristorante non cucinano perché non ci sono turisti, ma il ragazzo che lo gestisce ci prepara due generosi panini e dell’ottima verdura. Mariano si prosciuga un paio di Karlovacko pivo da mezzo e io, felice, mi metto a scrivere. Più tardi, mentre vagabondo tra le costellazioni disteso nel mio sacco a pelo sul molo, ascolto il vento. Ho il presentimento che, domani, ci farà tribolare ancora. (4 – Segue. Le prime tre puntate sono uscite il 20, 21 e 22 agosto).
Emilio Rigatti
“Il Piccolo” 23 agosto 2012