Compie cent’anni la sinagoga di piazza Giotti, la più vasta dell’Europa occidentale. Quando fu inaugurata il 27 giugno 1912 – secondo il calendario ebraico era il 12 Tamuz 5678 – a Trieste vivevano, lavoravano, studiavano, pregavano seimila ebrei. Il progetto, affidato dopo lunghe vicissitudini agli architetti Ruggero e Arduino Berlam, prevedeva all’interno almeno 1346 posti a sedere: 956 uomini a livello del suolo, 418 donne nell’alto matroneo. «Accetto con riconoscenza queste chiavi che simboleggiano il compimento di un’opera che è stata per cinquant’anni nell’animo e nel desiderio di tutti i correligionari». Con queste parole il commendator Edmondo Richetti, nobile da Terralba, capo della Comunità, iniziò il suo discorso in quel giorno del giugno di cento anni fa.
Piazza Giotti all’epoca aveva un altro nome: si chiamava piazza San Francesco e all’angolo con la via Donizetti erano presenti alla cerimonia molti esponenti della classe dirigente cittadina. Tra essi Sua Serenità il Principe Corrado de Hohenlohe, luogotenente di Trieste, il rappresentante del Governo di Vienna in città; l’avvocato e podestà Alfonso Valerio; il direttore di polizia, consigliere aulico Alfredo de Manussi – Montesole. E poi sua eccellenza Augusto Jacopig, imperial-regio presidente del Tribunale d’appello; il dottor Bernardo Karminski, capitano distrettuale e referente per il culto presso la Luogotenenza.
«Mi pare doveroso – aveva continuato Edmondo Richetti – ricordare in questo momento i nomi di quei generosi che contribuirono col denaro e coll’opera al conseguimento di questo ideale: Moisè Usiglio che primo iniziò il fondo per la costruzione del Tempio; Solone Loly e Raffaele Mordo, che efficacemente cooperarono ai primi studi per la nuova Casa di Dio; il cavalier Raffaele Luzzatto che da oltre quarant’anni segue con costante amore la causa del Nuovo Tempio; i benemeriti membri del Comitato tecnico, il loro egregio presidente ingegner Ettore Luzzato, il vice presidente cavalier ingegner Guido Levi, l’ingegner Marco de Parente, il dottor Filippo Brunner».
La cerimonia di inaugurazione, dopo la consegna della chiavi e il discorso del capo della Comunità di Trieste, prevedeva un assolo per organo, seguito dal solenne trasporto e collocamento delle Bibbie e nell’Arca al canto del Salmo 24. Poi sarebbe stata accesa la lampada perpetua, in ebraico Ner Tamid, seguita dal discorso del rabbino maggiore Hirsh Perez Chajes, una delle figure più importanti del nascente Sionismo. All’inizio del 1914, esattamente il 24 aprile, a meno di due anni dall’inaugurazione del Tempio, a bordo del piroscafo “Helouan” del Lloyd austriaco raggiunse Israele per rendersi personalmente conto degli inizi dell’impresa. Narrò il suo viaggio sul giornale triestino, “Il Corriere Israelitico” che ne fece tre puntate pubblicate sui numeri di giugno, luglio e agosto 1914.
Ma ritorniamo al Tempio e all’opuscolo che nel 1908, in occasione della posa della prima pietra, era stato stampato dalla tipografia di Saul Modiano per sollecitare la raccolta di fondi. «In questo momento solenne, ricordiamo che se la costruzione è iniziata, essa non è ancora finita e che abbiamo ed avremo bisogno di aiuto costante perché quest’opera possa essere condotta con onore a pieno compimento». L’appello era firmato da Edmondo de Richetti, Enrico Salem, Cesare Sanguinetti, Giacomo Pincherle, Ettore Richetti. Nella brochure era riprodotto a colori un disegno dell’interno del Tempio realizzato dall’architetto Arduino Berlam. Nelle altre pagine le piante e le prospettive delle facciate. In quei disegni non era stato riportato un piccolo vano che risultò estremamente utile durante le persecuzioni scatenate dall’occupazione nazista. Lì il segretario della Comunità Carlo Morpurgo nascose gli arredi sacri. I tedeschi non li trovarono mai, perché seguivano le indicazioni del progetto. Carlo Morpurgo invece fu arrestato, deportato e non rientrò mai a Trieste dal campo in cui era stato rinchiuso.
Claudio Ernè
“Il Piccolo” 21 giugno 2012