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Trieste e l’Adriatico erano nel mirino della politica francese (Il Piccolo 14 dic)

di ANNA MILLO

«L’Europa non potrebbe mai distogliere il proprio sguardo da queste contrade, destinate per la loro posizione geografica a brame molteplici»: così scriveva nel 1884 il console francese a Trieste, all’indomani di quella Triplice Alleanza che accentuava la sensazione di isolamento internazionale della Francia e pareva ridurne il peso sul continente. Nella città adriatica da poco erano stati ultimati i lavori per la costruzione del nuovo porto, che avrebbero contribuito a dare slancio all’economia triestina sulla scia del Drang nach Osten sostenuto dalla monarchia austriaca, verso il Levante e l’Oriente.

Che in quest’angolo di Europa si giocassero fattori geo-politici e geo-economici di rilevanza strategica, la Francia lo aveva compreso fin dagli anni della rivoluzione, quando vi aveva insediato un consolato, retto da un funzionario di carriera, rimasto per tutto l’800 un osservatorio aperto sui cambiamenti in atto tra centro-Europa e nord-Adriatico, per quanto qui essa non potesse vantare traffici commerciali di rilievo, che prendevano piuttosto la via di Marsiglia.

L’analisi di Alceo Riosa su questi territori e sulla loro storia politica dalla rivoluzione alla grande guerra, nel libro ”Adriatico irredento. Italiani e slavi sotto la lente francese (1793-1918)” (Guida editore), è sorretta dall’interesse che la Francia dimostrava per queste contrade e dall’interesse che qui suscitava. Due sono le direttrici, finemente intrecciate, che l’autore segue: da una parte le informazioni sull’evoluzione della vita politica locale raccolte dai consoli francesi a Trieste, che selezionano, filtrano e interpretano tali dati alla luce degli interessi generali della politica estera francese, interessata specialmente dopo il 1870 a trovare alleanze nel centro-Europa per non restare isolata dalla temuta spinta germanica verso l’Adriatico e i Balcani.

Dall’altra gli ideali incarnati dalla Francia della rivoluzione dell’Ottantanove, gli ideali di democrazia e di fratellanza tra i popoli, che nella prima metà dell’Ottocento nella città adriatica sono patrimonio di una ristretta cerchia di intellettuali, di cui Pacifico Valussi è l’esponente più insigne. Più tardi, dopo l’esperienza risorgimentale, se ne farà custode una precisa corrente dell’irredentismo, il movimento mazziniano-garibaldino e repubblicano, una componente minoritaria, poco influente sugli equilibri politici locali, che tuttavia mantiene vive le non diffuse aspirazioni separatiste triestine, sperando che il vicino stato unitario fungesse da coagulo e da richiamo.

I consoli francesi che si succedono a Trieste sono osservatori distaccati, ma non certo neutrali. Drastico è il loro giudizio sul ceto politico liberal-nazionale alla testa del Comune, municipalista, tutto inteso alla salvaguardia dei propri privilegi autonomistici e perciò miope, incapace di concepire più larghe alleanze contro il centralismo di Vienna, solo a parole avversato. I suoi corposi interessi economici lo inducono invece a sostenere l’espansione tedesca verso Levante, aspetto questo massimamente osteggiato dai consoli. Pur attraverso queste particolari categorie di giudizio, ne risulta uno sguardo non convenzionale sulla lotta politica locale, capace di illuminare in una prospettiva nuova episodi già conosciuti (l’allontanamento del console italiano Durando, lo sciopero generale del 1902, la controversia per l’università italiana).

Accentuata è la simpatia con cui i consoli seguono il nascere e il consolidarsi del movimento nazionale sloveno e croato, scandagliato nelle sue diverse componenti politiche e nella sua ricerca di alleanze. Se ne ragiona sotto il profilo delle possibili conseguenze interne alla politica austriaca, in ordine alle modifiche in senso istituzionale che ne potrebbero derivare, ma anche a proposito dei riflessi sugli equilibri internazionali. In effetti, a ben guardare, solo il movimento socialista con la sua politica di conciliazione tra italiani e slavi del Sud promuove l’unica politica suscettibile di quei risvolti antiaustriaci e antitedeschi che la Francia potrebbe auspicare. Si comprende così il favore che ad esso riservano i consoli francesi nelle loro relazioni al Quai d’Orsay.

Nel 1902 l’avvicinamento diplomatico tra Francia e Italia suscita speranze di un recupero dell’amicizia italo-slava in chiave di conservazione della pace in Europa e di una soluzione in senso federale del problema delle nazionalità. A questo tema Alceo Riosa – che in precedenza ha dedicato numerosi studi alla storia del socialismo italiano – riserva la seconda parte del suo libro, concentrando l’attenzione sulla figura di Leonida Bissolati, politico sensibile per le sue radici repubblicane ai valori dell’autodeterminazione dei popoli e della loro collaborazione in Europa.

Alla fine della Prima guerra mondiale queste tematiche non vengono dimenticate da alcuni politici e intellettuali giuliani, come Edoardo Schott Desico, che ancora si richiamavano agli ideali dell’Ottantanove e del Risorgimento italiano. Ma il loro messaggio di amicizia italo-slava non poteva essere più lontano dalla realtà della politica estera degli stati, tutta permeata di “sacro egoismo” quella italiana, volta a sostenere la nascente Jugoslavia solo per ragioni di potenza quella francese.

Il libro di Alceo Riosa ha il merito di sottrarre la storia dell’Alto adriatico alle ristrettezze di un contesto solo locale per inserirla nella più ampia dinamica europea, cui indubbiamente essa appartiene.

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