di Gianna Duda Marinelli
Così si è espresso sull’evento “epocale” del 13 luglio il ministro degli Esteri Franco Frattini: “Finalmente ci siamo Trieste scrive una pagina di storia”. Così costui fa trapelare il suo profondo pensiero politico. Il programma eseguito con abilità ha avuto successo, gli spettatori hanno applaudito.
E’ probabile che l’affermazione “Trieste scrive una pagina di storia” sia stata usata in senso metaforico, il che prevede la conoscenza della storia di questa città che della sua Storia è stata protagonista, vissuta in prima persona ed all’occasione capace di farla rivivere. Quando invece si vuole crearla e scriverla da lontano, vengono impartiti degli ordini e chi li esegue viene ricompensato con il compito di curare la sceneggiatura e la regia di una giornata memorabile. In tutti i casi sia Trieste che i triestini hanno prestato il palcoscenico rimanendo estranei sia all’iniziativa che ai preparativi.
Il Concerto del 13 luglio doveva suscitare molta commozione allo scopo di far nascere tra la gente tanta spontanea amicizia. La data coincideva con le commemorazioni annuali di alcuni italiani caduti per mano eversiva slava, gli organizzatori dell’incontro lo sapevano ma non hanno ritenuto opportuno spostare l’incontro dei 3 presidenti.
E’ solo un breve episodio avvenuto tra l’11 ed 13 luglio 1920, però ancora valido tanto da essere strumentalizzato dalla propaganda nel 2010.
Si parla di fatti accaduti 90 anni fa ma che sino ad oggi nessuno ha voluto o potuto farne una cronaca precisa, infatti da allora perdura il veto di indicare l’ideologia che li ha scatenati. Il fine da raggiungere è uno solo ed inderogabile, cancellare con qualsiasi mezzo gli italiani dell’Adriatico orientale ai quali è stato negato il diritto di difesa. Violenza ideologica ed etnica quindi, il tutto camuffato da molte falsità, in verità piuttosto rozze, in modo da soddisfare chi mira alla destabilizzazione.
E’ alla fine della prima Guerra mondiale ed al conseguente crollo degli imperi Asburgico ed Ottomano che nella montuosa Balcania si è scatenata la sanguinosa lotta tra le anime poliedriche dei suoi abitanti individuabile nei jugoslavisti, indipendentisti, monarchici, comunisti, aderenti alla mano nera o bianca, e chi più ne ha più ne metta. Nei più violenti era stato fatto esplodere l’odio cieco nei confronti di tutto ciò che poteva essere veneto, quindi italiano.
Dopo l’uccisione a Spalato di Tommaso Gulli e Aldo Rossi, i facinorosi dovevano alimentare altri focolai eversivi perciò continuarono le loro azioni a Trieste il 13 dello stesso mese. In quel giorno trovarono la morte, il cuoco diciassettenne G. Nini pugnalato in Piazza dell’Unità ed il Tenente del Regio Esercito L. Casciana che, di pattuglia all’Hotel Balkan era stato gravemente ferito da una bomba gettata da una finestra dello stesso ed il 20 luglio era deceduto.
I tumulti erano durati tre giorni ed erano culminati nell’“Incendio dell’Hotel Balkan” conclusosi alle ore 11 del 14 luglio con “un’altra formidabile esplosione avvenuta dentro la fornace dell’Hotel Balkan” sviluppatasi al quarto piano del fabbricato provocandone il crollo, “Un pompiere il quale stava provvedendo all’opera di spegnimento si trovava sovra una scala di legno appoggiata al muro, avendo questo ceduto è precipitato al suolo. Le condizioni del pompiere sono gravissime”.
Sino dall’inizio le indagini erano state un po’ confuse, durante il mattino, l’assassino di G. Nini, aiutato dai suoi compagni, si era allontanato indisturbato. E’ probabile che volutamente, per non istigare le cellule dei rivoluzionari jugoslavisti ad organizzare altre azioni terroristiche che non sono stati chiaramente individuati coloro che si trovavano all’interno dell’Albergo, come ospiti o dipendenti distinguendoli da chi era arroccato nell’armeria del Narodni Dom (Casa del Popolo). Innanzi a tale comportamento si può credere che si sia trattato di semplice inefficienza della Polizia ma anche che siano esistite delle complicità.
A 90 anni dall’uccisione a Trieste di due nostri connazionali, il 13 luglio 2010 ecco a sottolineare quel giorno, il Concerto “Vie dell’amicizia” diretto dal maestro Riccardo Muti e la visita dei presidenti della Slovenia, della Croazia e dell’Italia. I motivi di tale appuntamento sono apparsi abbastanza chiari: la genuflessione della nostra Repubblica innanzi a delle probabili attività finanziarie e commerciali e l’avvicinamento della Slovenia alla Croazia con l’appianamento delle loro questioni sui confini di terra e di mare in previsione dell’entrata della seconda nell’Unione Europea.
Già da parecchi anni, nelle Repubbliche post comuniste di Slovenia ed in tono minore in quella di Croazia, alcune Associazioni di volontari cercano di rendere noti e di indicare cristianamente “I sepolcri tenuti nascosti e le loro vittime”, si intende vittime degli eccidi avvenuti a guerra finita ed eseguiti dai partigiani comunisti di Tito. Durante la visita a Trieste i comportamenti sono stati diversi. Abbarbicandosi a delle scuse veramente deboli i 3 presidenti non hanno ritenuto di comprendere nel loro itinerario la visita al Monumento Nazionale della “Foiba di Basovizza” emblema delle barbare uccisioni similari a quelle della Slovenia e della Croazia. Il messaggio è stato recepito, gli Italiani gettati nelle foibe o giustiziati in modo barbaro, sono morti di serie “B” ed è stato sintomatico il silenzio del presidente Giorgio Napolitano.
Concordato il programma, è stato scelto un percorso per così dire più agile, così è stata deposta una corona in Piazza della Libertà presso l’epigrafe che ricorda l’Esodo dei 350.000 Istriani, Fiumani e Dalmati. Come siamo avvezzi, il presidente sloveno Danilo Türk ha voluto puntualizzare affermando che il numero degli Esuli doveva essere ridotto a 200.000. Questa intromissione durante una visita ufficiale va confutata. Consultato il mensile “Trieste” di aprile 1961, molto vicino all’ideologia comunista, si può leggere un articolo in cui vengono messe a confronto le percentuali degli “esodati” ricavate dalle anagrafi della neo nata Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia e quelle dei comunisti giuliani attenti ad enumerare gli Esuli ammassati nei campi Profughi di Trieste. All’articolo era stata allegata una cartina dell’Istria con le sue principali cittadine ed accanto dei numeri, nelle parentesi i “rimasti” secondo gli Jugoslavi, fuori dalle parentesi i “rimasti” in una percentuale di gran lunga maggiore proposta dai comunisti Giuliani. La “cartina” aveva lo scopo di dimostrare che molti cittadini italiani avevano deciso di rimanere nel paradiso di Tito diventando Jugoslavi.
Come tutti gli anni, il programma dei Dalmati Italiani, della Lega Nazionale affiancati da altre Associazioni e con la presenza del labaro del Comune di Trieste e di una rappresentanza delle Guardie Municipali, ha avuto iniziato l’11 luglio alle ore 19.30 con la deposizione di una corona presso l’ancora della nave “Puglia” per ricordare l’uccisione, avvenuta a Spalato di T. Gulli e A. Rossi.
Il 13 luglio dopo aver deposto una corona d’alloro in Piazza dell’Unità d’Italia per ricordare il diciassettenne Giovanni Nini. Proprio quando l’appuntamento che si ripeteva ormai da 65 anni si avviava verso un naturale oblio, con la deposizione di una corona in memoria del ventitreenne Tenente Luigi Casciana nativo di Gela, caduto nell’adempimento del dovere, l’evento di Trieste ha avuto l’effetto di fare rivivere l’ormai annosa cerimonia.
Oggi l’edificio dell’ex Albergo restaurato ospita, la Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste ed il Narodni Dom probabilmente è frequentato da qualche gruppo di neojugoslavisti. All’esterno, sulla via F. Filzi, due targhe l’una in sloveno e l’altra in italiano ricordano l’incendio della Casa del Popolo senza altre precisazioni, all’interno un’altra targa che ricordava il Ten. L. Casciana ora disturba ed è celata da un pannello di cartongesso. Questo avviene nel 2010 in una città italiana che, secondo il Ministro F. Frattini, sta scrivendo la sua storia.
Per motivi di spazio e di priorità la consueta corona dei Dalmati, in attesa della visita dei 3 presidenti, per il momento doveva essere sistemata nella rientranza del finestrone a destra del portone di ingresso dell’Istituto Universitario. Con questa innocente corona ed il sopraggiungere di altre due ha avuto inizio una “singolar tenzone” tra corone di cui non è stata ancora scritta la parola fine.
Verso sera dello stesso giorno, mentre il presidente Giorgio Napolitano ha deposto una corona con nastro azzurro e scritta in sloveno, un’Associazione slovena ne ha portata un’altra di plastica verde di diametro inferiore con i nastri bianco, rosso e blu. Più tardi la corona italiana ha potuto essere posta, come ogni anno, a sinistra dell’entrata dell’Istituto di via F. Filzi ed appesa al muro con una catenella. Ignoti, dopo aver tagliato con il tronchese la catenella, strappavano anche i nastri bianco, rosso e verde.
Questa è la dimostrazione che l’antica tracotanza dettata dall’odio che vuole cancellare tutto ciò che è italiano è sempre viva.
Uno degli obiettivi che doveva raggiungere la visita dei rappresentanti delle 3 Repubbliche confinanti è stato raggiunto con la corona dai nastri azzurri e scritta in sloveno del presidente Giorgio Napolitano che così ha avallato quanto volevano i nostalgici di Tito nel 1920 che affermano che l’incendio era stato appiccato dai futuri “fascisti” con la necessaria complicità delle forze dell’ordine. In questo dissonante programma di “luci e suoni”, una struggente nota romantica, il presidente Giorgio Napolitano, che, visibilmente perplesso, pensoso e forse commosso, sfiorava i nastri azzurri delle corone deposte durante la sua visita. Alcuni rappresentanti politici locali ed il sindaco R. Dipiazza, si sono uniti al ministro degli Esteri per auto-congratularsi per aver assistito ad una “svolta epocale”. Finalmente Trieste “svolta l’angolo”, così potrà nascere la non ancora definita regione del nord-est e come ricompensa per aver prestato il suo palcoscenico naturale le è stata assicurata la sua proiezione verso un radioso “futuro” va puntualizzato, puramente virtuale. La giornata è stata coronata dal raffinato repertorio proposto dal maestro R. Muti. Dopo gli inni nazionali è stata eseguita un’ improvvisazione del musicista sloveno contemporaneo Andrej Misson intitolata Libertas animi del 2008 tratto dalla II parte dell’ “Himna Evropske Slovenije” (Inno alla Slovenia Europea) che il compositore ha scritto ispirandosi ad un madrigale di J. Handl. Si tratta del compositore sloveno dai molti nomi, Iacobus Gallus, Jacob Handl, Händl, Hänel, nato a Reifnig (Reiuenz) in Carinzia (1550 – Praga 1591) Oggi il luogo dove è nato si chiama Ribnica ed appartiene alla Slovenia perciò il madrigalista del rinascimento è conosciuto anche come Jakob Petelin Kranjski. Iacobus Gallus, dopo aver studiato nel monastero benedettino di Melk (Mölk) nella Bassa Austria, era entrato come corista alla corte imperiale di Vienna, poi aveva diretto il coro dell’Arcivescovado di Olmütz (1579 – 1585) ed in fine era diventato Kapellenmeister di S. Giovanni di Praga. Handl aveva privilegiato la maniera policorale veneziana, infatti nella sua armonia si alternano i modi medievali con l’attuale maggiore – minore. L’effige che raffigura il musicista all’età di 40 anni è contornata dalla scritta Iacobus Handl Gallus dictus Carniolus. La denominazione Carniolus indica la regione in cui era nato il musicista, si tratta della Carniola, Kranjske, Krain, di cui bisognerebbe ripercorrerne la storia per conoscerla dal punto di vista geografico e politico. Al pezzo di Misson – Gallus è seguito l’ “Himna Slobodi” (Inno alla libertà) di Jakov Gotovac (Spalato 1895 – Zagabria 1987) tratto da “Dubravka” (Pastorale per coro e orchestra) in cui risalta il linguaggio folk del tardo romanticismo nazionale. Il testo è di Ivan Franjo Gundulić o Gianfrancesco de Gondola.
Bisogna sottolineare che la “libertà” della composizione di J. Gotovac è quella dell’età titoista. Al Concerto le “Vie dell’amicizia” hanno partecipato 360 giovani e si è concluso con l’esecuzione del “Requiem in do minore” per coro e orchestra composto nel 1817 da Luigi Cherubini che dopo la Restaurazione aveva voluto ricordare Luigi XVI al re di Francia Luigi XVIII.
In questa città generosa, mai rancorosa sono venuti a proporre un’amicizia sterile e l’internazionalismo europeo: è vero, qui si confrontano molte culture che però vengono convogliate in quella maggiore, l’Italiana. Trieste è una città libera, una libertà talvolta sopita dalla quotidianità che si risveglia quando i suoi principi sono messi in pericolo e calpestati. A questo punto mentre l’Est viene prepotentemente proiettato verso Ovest, Trieste come una perla incastonata nel suo anfiteatro ha rappresentato il palcoscenico naturale per ipnotizzare il pubblico. Gli organizzatori sono stati soddisfatti perché finalmente possono vedere dalla Piazza maggiore della città, “Il golfo su cui si affacciano Italia – Slovenia – Croazia oggi desiderose di unirsi in un grande abbraccio con lo sguardo verso il futuro”. Come’era prevedibile, la visita dei tre presidenti ed il sicuro effetto taumaturgico del raffinato concerto in piazza diretto dal maestro Muti, sono riusciti a fare sanguinare le tante ferite mai rimarginate di questa città vittima con la sua Regione e la Dalmazia di trattati non mantenuti e di accordi rinunciatari fatti sottobanco. Mentre ci si avvicina anacronisticamente ai festeggiamenti per i 150° dall’Unità d’Italia ed il Porto di Trieste attende un miracolo impossibile, forse vale riproporre a monito perenne quanto aveva scritto Gabriele d’Annunzio il 16 ottobre 1920 rivolgendosi ai Dalmati traditi.
EJA, DALMATI!
· Non vi rammaricate di rimanere pur sempre sospesi tra rinunzia e baratto. Siate sereni.
· Non vi giova spiare il vento che a quando a quando soffia dal Viminale e dal Quirinale.
· Non è neppur vento: non muove nulla, non muoverà mai nulla, ve l’accerto. Non è se non ventosità senile.
· Soffia, o bora degli Uscocchi, e disperdi il malvagio odore!