di NEREO BALANZIN
Willow Street è una stradina stretta e corta, ad Essendon, uno dei quartieri di Melbourne nord. Più o meno a metà di questa via, sopra un ingresso chiuso da battenti in legno, il disegno di un’alabarda e la scritta ”Trieste Social Club”. La grande maggioranza dei soci è triestina, con un robusto rinforzo di istriani e dalmati. Dei 150 anni dell’unità d’Italia, per loro quello che conta è l’ultimo mezzo secolo: sono sbarcati in Australia tra il 1950 e il ’60, sull’ondata del più grande esodo che Trieste e il litorale abbia mai conosciuto.
Ma dopo tanto tempo li si riconosce ancora di primo acchito: per un certo modo di vestire, per gli occhi vivaci, curiosi e per un fare riservato. Gente che ascolta, prima di pronunciare una parola. Pare la traccia, sfumata, di anni nei quali hanno imparato a stare in guardia. Poi, magari, preso il là, parlano senza fermarsi più.
Bruno è grande e grosso; riesce sempre a guardati dall’alto, anche nei casi (rari) in cui è più basso. Pino, quando parla, abbandona le braccia sul tavolo, e si sporge in avanti. Maria è sua moglie, ma il triestino l’ha imparato solo in Australia. Ma lo canta. Elio, visto di profilo, pare la sagoma di Hitchcock come appariva nei titoli della serie televisiva. Pierina è piccola, magra, con i capelli bianchi e ricci; è come se all’interno possedesse una molla, e si intravede ancora cosa deve essere stata da bambina.
Angelo è alto e magro, un po’ curvo. E’ in là con gli anni, e si lamenta che, quando torna a Trieste, la schiena gli impedisce di sedere sulle panche delle osmizze. «Vuoi vedere come ero da giovane? Il Piccolo ha pubblicato una mia foto. Al molo d’imbarco, con mia moglie. Tanti, tanti anni fa». Dal fondo della stanza, il rumore secco delle biglie che si scontrano sul panno del biliardo.
«Sono arrivato nel 1954 – racconta Angelo Cecchi – sulla Toscanelli. Non conoscevo una parola di inglese. L’insegnante, volendo mostrarci come si pronuncia il ”th”, una volta s’è tolto la dentiera, per indicare dove poggiare la lingua. La prima frase che ho imparato è stata: ”How do you say?” (come si dice?) e nei negozi indicavo gli oggetti con il dito. Una volta – prosegue – mia moglie mi ha mandato a comperare due libbre di zucchero. Per tutta la strada, ho ripetuto dentro di me: ”Two pounds of sugar. Two pounds of sugar…”. Quando è stato il momento, chissà cosa m’è scappato, perché il garzone ha messo sul tavolo due pacchetti di sigarette».
I problemi di Angelo con la pronuncia dell’inglese erano quotidiani. «C’è una stazione della metropolitana – spiega – che si chiama Flinders Street. Non riuscivo a pronunciarla. Finiva che andavo sempre da un’altra parte. Un amico mi ha suggerito: ”dighe finestrìn”. L’ho fatto. Mi hanno allungato il biglietto giusto».
In certi casi si verificavano situazioni tragicomiche. «Anche quando non si capiva – ricorda sempre Angelo – si faceva finta. Ho sentito un’anziana signora australiana mormorare mesta al macellaio, italiano: ”My husband passed away” (mio marito è morto). E lui: ”Oh, very well, very well” (molto bene, molto bene).
Di lavori Angelo ne ha fatti diversi. «A Trieste – racconta – con l’amministrazione degli alleati, Guardia di finanza. In Australia ho fatto il rilegatore. E per passione attore. Anche maestro di cerimonia, ai matrimoni: dieci sterline al colpo. E pure il presentatore: ho chiamato sul palco Luciano Tajoli, Nilla Pizzi, Little Tony, Orietta Berti, gli Homo Sapiens».
Dopo anni di Australia, quando è tornato a rivedere Trieste si è trovato un po’ spaesato. «La prima volta che sono ritornato a Trieste, mi avranno preso per matto: camminavo sfiorando con la mano i muri. Vedevo tutto con gli occhi del turista. Raccontavo la città agli amici australiani che non c’erano mai stati, ed era come se raccontassi a me stesso».
Anche se sono trascorsi molti anni da quando Angelo ha lasciato Trieste, non riesce a cancellare un certo rimpianto. «Il passaporto italiano – spiega non senza un velo di tristezza – non l’ho più: abbiamo tutti dovuto renderlo, per ottenere quello australiano. Ed adesso ho saputo che è necessario per il rientro delle ceneri…»