La presidente dell’Irci è stata invitata ieri a sorpresa in Giunta comunale dopo che il dissenso per l’uscita del Comune dal novero dei soci dell’Istituto regionale per la cultura istriana è diventato palese e pesante da parte delle maggiori associazioni degli esuli e non solo, nonostante le rassicurazioni del sindaco. Chiara Vigini si è seduta nella stanza ovale del Municipio. «Ho spiegato le ragioni per cui l’Irci fu fondato nel 1983 con legge regionale – dice -, stiamo festeggiando i 30 anni da quella legge. Una legge che non riguardava certamente il museo…».
Un sottile distinguo che spiazza le risposte di Cosolini: «Sosterremo comunque l’Irci». E quelle della direttrice dei Civici musei Maria Masau Dan: «Faremo una nuova convenzione e apriremo il museo di via Torino». Per la Vigini «è fondamentale che il Comune sia “dentro”, lungimirante che partecipi all’esistenza dell’istituto. Ma questi eletti dal popolo… – è il critico sospiro – sono intangibili». Insomma la presidente è uscita dalla Giunta non esattamente soddisfatta.
«Io credo – aggiunge – che il sindaco Cosolini abbia capito, ma ha opposto ragioni legislative e burocratiche per difendere la scelta del Comune di dissociarsi, ha detto però che cercherà di trovare, all’opposto, motivazioni giuridiche per decidere di rientrare nell’Irci. Non mi sento particolarmente ottimista, di oggettivo a oggi non c’è nulla».
«Piena comprensione alle preoccupazioni della presidente – commenta il sindaco -, ho ribadito il sostegno del Comune, le ragioni legislative che limitano le adesioni degli enti locali come soci, ogni lettura politica o ogni rilievo di scarsa sensibilità sono privi di qualsiasi fondamento. Ho dato mandato agli uffici di verificare gli spazi che ci dà la normativa per consentire una permanenza del Comune nella compagine sociale».
Intanto Silvio Delbello, presidente dell’Università Popolare, ribadisce sconcerto: «Sono molto sorpreso. La collaborazione col Comune aveva portato al recupero dello stabile di via Torino. Questa uscita mi pare estemporanea, per un usare un termine gentile. Una cosa senza senso. Spero che le pressioni trasformino il momento da negativo a positivo, specie nella realizzazione del museo della civiltà istriana».
Ma più di tutti si adira da Roma l’avversaria politica, la senatrice del Pdl Sandra Savino: «Singolare dire, come ha fatto il sindaco, che uscire dall’Irci ha valenza solo amministrativa. Traspare invece una decisione oggettivamente ideologica, che mette una seria ipoteca sulle prospettive di sviluppo del museo, ma che di fatto anche rinnega la storia di queste nostre terre. Serve a poco – scrive tagliente Savino – promettere targhe che ricordino l’occupazione titina in qualche angolo della città quando invece dall’altra parte si recide il legame storico e culturale che unisce Trieste al dramma dell’esodo e alle ingiustizie subite da un intero popolo, alle quali solo da pochi anni è stata conferita la giusta dignità. Trieste rappresenta universalmente il centro di questo passaggio storico della nazione, e proprio il suo Comune si tira fuori dall’ente che promuove e conserva la memoria di quegli eventi: è un segnale di estrema gravità, trasmette un messaggio che riporta le lancette dell’orologio a quando la politica in buona parte rimuoveva o nascondeva l’esodo e le foibe».
Conclude la senatrice: «Questo sia chiaro oggi come allora è semplicemente inaccettabile anche in virtù degli investimenti fatti dallo Stato per il museo di via Torino. Anche sulla base del pensiero di un autorevole personaggio della sinistra triestina come il professor Stelio Spadaro interrogherò il ministro». Savino, appellandosi al valore della memoria, chiederà se non sia «opportuno e doveroso intercedere presso il Comune affinché non si rescinda il legame culturale tra la città e la storia del confine orientale del dopoguerra».
Gabriella Ziani
www.ilpiccolo.it 18 giugno 2013