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Tutto (o quasi) su foibe ed esodo (Voce del Popolo 12 lug)

Dopo decenni di silenzio, la riscoperta e la rivalutazione della tragedia degli italiani dell’Adriatico orientale, in particolare del dramma degli oltre 300mila esuli, ha prodotto, grossomodo nell’arco di un decennio – con maggiore intensità dall’istituzione del Giorno del Ricordo, nel 2004 – una marea di pubblicazioni di vario genere sull’argomento, senza contare poi le manifestazioni pubbliche, le trasmissioni televisive e i filmati (sia fiction sia documentari).Per cui oggi, per uno che ha almeno un minimo di interesse culturale, dovrebbe essere effettivamente difficile dichiararsi “all’oscuro” di ciò che accadde settant’anni fa in Istria, a Fiume, nel Quarnero, in Dalmazia. Ricercatori, appassionati di storia o semplici curiosi hanno attualmente a disposizione una messe notevolissima di studi, saggi storici e storiografici, atti di convegni, documentari e materiali video, tanta memorialistica, racconti, romanzi e poesie…Pubblicazioni molto valide, tra le quali però non mancano testi contenenti affermazioni e giudizi decisamente opinabili.

Manuale per scuole e mass media

Sorvoliamo su quest’ultimi, per richiamare l’attenzione su un testo non recentissimo (è del 2010), del quale consiglio la lettura, soprattutto a chi si accinge ad affrontare la materia per la prima volta, a chi desideri approfondire le sue conoscenze sui tragici eventi del Secondo conflitto mondiale e del dopoguerra nell’Adriatico orientale, con una ricognizione sulla diversità di vedute sul tema.
Quasi un manuale, indicato per i colleghi dei mezzi d’informazione della vicina penisola e per le scuole italiane, nei cui programmi si studiano le memorie del confine orientale. Si presentano come uno strumento agile, dunque, da prendere in mano e consultare – anche a singoli capitoli –, le 143 pagine complessive di “Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia – Le foibe, l’esodo, la memoria”, lavoro a “quattro mani” che ha ottenuto quest’anno il Premio Letterario “Gen. Loris Tanzella” 2012 nella sezione “Saggi e Documenti”.

Ricostruire i ponti

Edito dall’Associazione per la Cultura Fiumana, Istriana e Dalmata nel Lazio, con il patrocinio della Società di Studi Fiumani e della Regione Lazio, il volume è il risultato di un’esauriente e precisa ricerca documentaristica e testimoniale al tempo stesso, di una lucida analisi di eventi e antefatti, come pure del confronto di tesi diverse, con riferimenti alle varie interpretazioni storiografiche e a posizioni critiche autorevoli.L’opera contiene saggi di Amleto Ballarini, Giovanni Stelli, Marino Micich, Emiliano Loria, che affrontano e studiano in maniera documentata gli eccidi avvenuti nella Venezia Giulia e in Dalmazia e l’esodo dei giuliano-dalmati, eventi rimasti troppo a lungo “ostaggio” di interpretazioni ideologiche e di convenienze politiche.L’Associazione per la Cultura Fiumana, Istriana e Dalmata nel Lazio ha voluto stampare questa sua opera per “contribuire a far conoscere il cammino di sofferenza vissuto da un’intera comunità – come riportato nella quarta di copertina –, con grande dignità e consapevolezza, non per dividere, ma per ricostruire i ponti del dialogo e della civile convivenza tra i popoli delle due sponde adriatiche”.

Lavoro accurato

Un lavoro pregevole, serio, minuziosamente accurato, in linea con quanto già uscito dalla grande fucina di ricerche, idee, attività, intelligenza, confronto – una “mente collettiva” che ha sfornato libri, riviste, convegni scientifici, manifesti – che è la Società di Studi Fiumani a Roma, cui appunto fanno riferimento Amleto Ballarini (presidente), Giovanni Stelli (direttore della rivista “Fiume”, edita dalla succitata Società), Marino Micich (direttore dell’Archivio-Museo Storico di Fiume e presidente dell’Associazione per la Cultura Fiumana, Istriana e Dalmata nel Lazio) ed Emiliano Loria (archivista presso l’Archivio Museo Storico di Fiume, segretario dell’Associazione per la Cultura Fiumana, Istriana e Dalmata nel Lazio).Insieme con il Libero Comune di Fiume in Esilio, è stata una delle prime, se non proprio la prima in assoluto tra le organizzazioni degli esuli, a ricucire i contatti con la terra d’origine, con la comunità dei rimasti, a ventilare la prospettiva di un “ritorno culturale” – sempre dialogando con gli interlocutori locali – nelle città abbandonate all’indomani della disfatta italiana nella Seconda guerra mondiale e ai diktat del Trattato di Parigi del 1947.Un ritorno, come si diceva, improntato alla ricerca della verità storica su quanto accaduto, ma senza strumentalizzazioni, recriminazioni né revanscismi, come fatto con “Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)”, del 2002, corposa opera d’indagine congiunta tra la Società e l’Istituto croato di storia, a cura di Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski.
Ma un ritorno anche teso al recupero e alla valorizzazione di un patrimonio – dai dialetti alle tradizioni alle tombe – che rischia di andare perduto.

Fu «epurazione preventiva»

Questo “Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia – Le foibe, l’esodo, la memoria”, più che offrire nuovi e inediti tasselli o prospettive, è una sintesi degli aspetti più rilevanti – a livello storico e umano – della delicata vicenda che stravolse la fisionomia dell’Adriatico orientale.

Che cosa sono le foibe; come, quando e dove si consumarono tali eliminazioni fisiche sommarie; chi e quante furono le vittime; perché le foibe: a questi e altri interrogativi risponde Giovanni Stelli in “Le foibe in Venezia Giulia e in Dalmazia: un caso di epurazione preventiva” (pp. 7-36). E lo fa in maniera diretta, con una precisione e un’accuratezza studiatissima, quasi chirurgica, che genera una chiarezza straordinaria.

Soprattutto sui “perché”. Stelli passa al settaccio tutte le possibili tesi, da quella minimizzatrice, alla giustificazionista, a quella della pulizia etnica per arrivare a “una conclusione difficilmente contestabile: le ‘foibe’ si spiegano nel modo più convincente come una ‘epurazione preventiva’ condotta in base ad una precisa strategia ideologica e politica.A questa tesi, per quanto ampiamente comprovata dalla documentazione disponibile, si era opposto nel periodo del lungo dopoguerra una sorta di blocco di natura categoriale, lo stesso che condizionava del resto l’interpretazione di episodi e aspetti decisivi della storia contemporanea: la riluttanza a riconoscere nel comunismo una forma fondamentale del totalitarismo nel Novecento.Venuto a cadere questo ostacolo, la tesi della ‘epurazione preventiva’ si è ampiamente diffusa nella ricerca storica recente” (Stelli, pp. 29-30).

Il «mistero» della Bezdanka

Nel suo articolo “Anche Fiume ha avuto le sue foibe” (pp. 37-56), Amleto Ballarini sottolinea che il triste fenomeno non fu circoscritto, geograficamente parlando, al territorio istriano, bensì si manifestò pure nel capoluogo quarnerino, nonché in Dalmazia, come ha rammentato ad esempio Alessandra Rivaroli Mariani in “La memoria dimenticata (la foiba di Kevina)” (edito con gli auspici dell’Associazione per la cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio, Roma, 2010).

Dopo aver illustrato la situazione – demografica ed etnica – che si era venuta a creare nella provincia italiana del Carnaro dal 1924 al 1954, e quantificato l’esodo italiano da Fiume, Ballarini rileva l’episodio (spesso trascurato) dei tanti “desaparecidos” nelle voragini carsiche del Monte Maggiore, del Castuano (Nebesi e Golubica), del Grobniciano (Jazovka) e, nel concreto, di Kostrena-Santa Lucia (Bezdanka). Secondo Ballarini in quest’ultima sarebbero finiti i questurini, i carabinieri e i finanzieri italiani che rimasero a Fiume anche dopo l’8 settembre 1943.

In “L’esodo dall’Istria, Fiume e Zara (1943-1958) e l’accoglienza in Italia”, Marino Micich (pp. 57-88) tratteggia in maniera esaustiva – e molto leggibile anche ai profani – il contesto di riferimento nel quale si consumò la tragedia, le motivazioni che spinsero gli italiani a lasciare in massa questi lidi nelle varie tornate, offre una quantificazione basata su fonti attendibili, su dati reali (come quelli dell’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati), riassume e pone a confronto le interpretazioni storiografiche…
Egli stesso figlio di esuli dalmati, Micich non trascura il difficile inserimento dei profughi nella nuova patria (in apertura cita Indro Montanelli, che nel 1954 così li descrive: “Ridotti a vivere in dieci o dodici in una stanza, riescono a farlo in un ordine e pulizia esemplari cercando lavoro, ma rifiutando elemosine e senza mai lamentarsi… Che ne faremo di questi esuli?”), la disattenzione delle autorità italiane nei confronti delle loro istanze, sia che si trattasse di migliorare le loro condizioni sia che si trattasse di tutelare i loro beni abbandonati (alla Jugoslavia).

Passato, presente e futuro s’intrecciano nell’articolo di Micich, che nella parte finale rilancia la necessità di iniziative congiunte esuli-rimasti, di dialogo culturale, di una nuova cooperazione per superare gli antagonismi e le rivendicazioni che hanno poi generato conflitti ed eccidi.Gli italiani, presenti da secoli nell’Adriatico orientale, hanno pagato sicuramente un prezzo molto alto nel XX secolo. Curata da Emiliano Loria (“L’esilio raccontato”, pp. 89-120), la raccolta delle memorie e delle testimonianze, propone i toccanti racconti di alcuni protagonisti (loro malgrado), zona per zona: l’esperienza di Zara emerge per bocca dei fratelli Guido e Fulvio Costa e delle sorelle Mirella e Bruna Ostrini; per Fiume parlano l’olimpionico Abdon Pamich e Massimo Gustincich; per l’Istria ci sono il dignanese Ferruccio Conte e il vallese Claudio Drandi. In appendice una selezione di documenti dell’Archivio-Museo Storico di Fiume, una bibliografia sulla memoria dell’esodo e alcuni cenni bio-bibliografici sugli autori.

 

Ilaria Rocchi

“La Voce del Popolo” 12 luglio 2012

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