Non c’è solo Grillo a proporre “referendum sull’euro” e a invocare una maggiore democrazia diretta. In Croazia, il Paese che diventerà il ventottesimo stato membro dell’Unione Europea a partire dal primo luglio, un comitato (Referendumski Ustanak, “rivolta del referendum”) sta cercando di organizzare un referendum per chiedere alla popolazione di esprimersi sull’ingresso nell’Unione. Il Premier croato, Zoran Milanović, aveva già organizzato una consultazione popolare sulla questione nel febbraio 2012. Aveva vinto il ’sì’ a Bruxelles, ma l’affluenza era stata bassissima. Meno del 50% degli aventi diritto al voto aveva deciso di pronunciarsi.
Cosa è cambiato da allora? Nell’ultimo anno, il Paese è scivolato gradualmente nella morsa della crisi economica, provocata soprattutto dalla stagnazione dell’eurozona. In tre anni, il Pil è diminuito dell’8,7%. I disoccupati in Croazia, a gennaio 2013, rappresentavano circa il 22% del totale. A questo si sono aggiunte le misure di austerità del governo e i downgrade successivi delle principali agenzie di rating. Per Moody’s e Standard & Poor’s i titoli del debito croato sono già spazzatura.
Di fronte a questo scenario desolante, il comitato referendario si sta battendo per cercare di riportare le questioni fondamentali per il Paese al centro del dibattito pubblico. I quesiti proposti sono drastici: annullamento della legge sulle privatizzazioni degli anni Novanta; proibizione di ulteriori cessioni della proprietà pubblica; messa al bando degli Ogm nel Paese. Oltre, naturalmente, alla domanda fondamentale: «Volete diventare il ventottesimo membro dell’Unione?».
Linkiesta ha incontrato i promotori di Referendumski Ustanak:
Un referendum sull’Ue l’avete già avuto, nel gennaio 2012. Perché chiederne un altro? Cosa è cambiato in questi mesi?
Ci sono moltissimi motivi per organizzare questo referendum, non ultimo l’approssimarsi della fatidica data del 1 luglio. Il primo referendum sull’Unione fu una farsa. Innanzitutto, venne organizzato nel 2011, e non nel 2003, quando la Croazia chiese l’ingresso; e nemmeno nel 2005, quando cominciarono i negoziati. Per far andare a buon fine il referendum, il Governo cambiò addirittura la legge, in modo da annullare il quorum del 50% e rendere efficace la votazione anche con una partecipazione più bassa. Di fatto, solo il 44% degli aventi diritto si recò alle urne. Ma dal punto di vista legale fu abbastanza.
Prima del voto, fummo sommersi di propaganda. I media non davano alcuno spazio alle voci di dissenso. Era impossibile ottenere un’informazione imparziale e ragionata. Durante la stessa votazione, ci furono molte denunce di irregolarità e manipolazioni, ma non se ne fece nulla. Era già deciso che il referendum dovesse avere un esito favorevole. Era già programmato dai nostri politici; quello dell’anno scorso fu semplicemente uno spettacolino organizzato per la cittadinanza. Nel frattempo, molte cose sono cambiate in Europa. Un numero crescente di persone si rende conto di quello che comporta diventare membri dell’Unione.
Da chi è composto il vostro movimento?
Da cittadini. Di tutte le età, con differenti professioni, attitudini, orientamenti politici… siamo un gruppo molto eterogeneo, che ha voluto riconoscere la necessità di mettere al di sopra delle proprie divergenze un obiettivo comune: rimediare agli errori e alla mala fede della nostra élite politica, perché i loro interessi ormai sono diventati gli unici a contare, molto più di quelli della gente comune.
Per questo motivo chiediamo maggiore democrazia diretta, intesa non come concetto astratto, ma come l’unico modo che il popolo ha oramai di esercitare la propria sovranità, senza delegarla a dei politici che ne hanno chiaramente tradito la fiducia. I nostri cosiddetti “rappresentanti” hanno fallito, e i croati sono stanchi dei loro giochini. La cosa più importante, per noi, è che tutte queste persone insoddisfatte hanno capito che il referendum è un mezzo molto più efficace delle proteste di strada per far sentire la propria voce.
Perché essere contro l’Unione Europea adesso?
Noi non siamo contro l’Unione europea tout court, ci tengo a sottolinearlo. Noi vogliamo soltanto che la Croazia abbia la possibilità di esprimersi su questo tema in modo legale. Certo negli ultimi mesi molte cose sono cambiate per noi, nella nostra economia e nella nostra percezione dell’opportunità di unirci a Bruxelles. Tuttavia, ti sorprenderà sapere che nel nostro movimento ci sono molti convinti europeisti.
Chi sdegna l’Europa ha le sue ragioni. Prima di tutto, la preoccupazione per la diminuzione degli standard di vita, l’innalzamento dei prezzi e la possibilità concreta che la nostra produzione agricola e industriale possa essere spazzata via dalla concorrenza nel mercato unico. Aggiungici pure il timore, più che fondato, che le privatizzazioni possano tradursi in un vero saccheggio del patrimonio naturale del Paese, e che le tecnocrazie a Bruxelles non riusciranno a prendere decisioni concrete nel nostro interesse. Molta gente in Croazia è preoccupata che il Paese possa diventare una colonia soggetta alla potenza delle principali nazioni e banche europee. Non desideriamo perdere l’indipendenza che conquistammo a caro prezzo vent’anni fa. Guarda quello che è successo in Spagna o in Grecia. Non vogliamo che questo debba succedere a noi.
Pensate che far parte dell’Europa ridurrà il vostro potere come cittadini? Pensate che l’Ue sia compatibile con la democrazia?
Quello di perdere la nostra sovranità è un pericolo reale, di cui siamo consci. Non solo in un contesto europeo, anche in quello statale. Succede ogni qualvolta deleghi il tuo potere a qualcun altro che dovrebbe, teoricamente, rappresentarti. Il nostro comitato ha anche questo obiettivo, aumentare la consapevolezza e l’impegno politico dei cittadini. Molte persone rinunciano ad esercitare i loro diritti, per mancanza di interesse o, peggio ancora, per pigrizia. Quindi intendiamoci: non si tratta tanto di preferire un Governo di Zagabria rispetto a quello di Bruxelles. La sovranità popolare è già ridotta, oggi, nel nostro Paese. Se i Croati riusciranno a risollevarsi, tutti insieme, come popolo, questo sarà di grande aiuto anche agli altri paesi europei. Sta al popolo fare una differenza.
Come si vive in Croazia in questo momento? Cosa pensano i giovani a proposito dell’Europa e del loro futuro?
Tra i giovani le opinioni sono contrastanti. Chi vede l’Europa come un’opportunità lo fa soprattutto perché vuole emigrare. Viceversa, chi è ostile a Bruxelles lo è perché vorrebbe avere un futuro in Croazia, fare la differenza nel proprio Paese.
La vita per noi è diventata indiscutibilmente più dura. Ma è quello che avviene in buona parte d’Europa, ad ogni modo. La classe media sta sparendo e la forbice tra classi agiate e povere sta ampliandosi. Molta gente deve indebitarsi per vivere. Ci sono enormi differenze geografiche all’interno della stessa Croazia. Da una parte ci sono le aree turistiche, che sono ovviamente più sviluppate. Dall’altra regioni più povere, come Lika o la Slavonia, dove la disoccupazione cresce di giorno in giorno e le imprese sono costrette a chiudere. C’è gente che aspetta il proprio salario da più di sei mesi. La grandi industrie sono in crisi profonda, mentre le piccole sono soffocate da tasse e burocrazia.
Siamo onesti: ci sarà, questo referendum? Ve lo lasceranno fare? È questa la vostra ultima possibilità contro la minaccia delle “tecnocrazie” e la globalizzazione?
Bruxelles e i suoi tecnici sono già qui. Possiamo resistere a questi assalti, ma è necessario un risveglio collettivo – e non sto pensando solo alla Croazia. Credo che le nostre possibilità siano molto limitate. La decisione di entrare in Unione europea è già stata presa molto tempo fa, la nostra opinione non interessa. Ma in ogni caso il nostro obiettivo sarà realizzato – abbiamo dato una scossa alla cittadinanza.
Credi che la Croazia abbia altre opzioni al di fuori dell’Unione Europea?
Dobbiamo innanzitutto pensare a noi stessi. Ripulire casa nostra, realizzare la democrazia diretta. Poi ci chiederemo che direzione prendere.
Perché la Croazia vuole entrare in Europa, dopo ciò che è successo in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, e quello che potrebbe succedere in Italia o nella vicina Slovenia?
Bella domanda. Dovresti porla ai nostri politici.
La Germania è sempre stata dalla parte di Zagabria, ma è una delle poche nazioni a non avere ancora ratificato il vostro trattato di adesione. Ultimamente, poi, le voci critiche al riguardo da parte di Berlino si sono moltiplicate. Come mai?
In queste manovre diplomatiche c’è molto più fumo che arrosto, credimi. E poi in fondo avrebbero anche ragione i tedeschi a preoccuparsi: non ha senso per un’Unione già in preda al caos di accettare tra i propri membri un Paese che evidentemente non è ancora pronto a esserlo.
Quanto è cambiato il vostro Paese negli ultimi vent’anni? Davvero vi mancano i giorni della Jugoslavia socialista?
La Croazia è cambiata molto, nel bene e nel male. In passato i diritti sociali erano più tutelati, l’economia funzionava. Non c’erano tutti questi centri commerciali, avevi più soldi in tasca. Certo, d’altra parte, la democrazia era un concetto del tutto astratto. C’era molta speranza alla fine della guerra negli anni novanta. Eravamo fiduciosi che il futuro sarebbe stato dalla nostra parte. Ora abbiamo capito che dobbiamo lavorare in prima persona per costruirlo. Nel complesso, Tito non ci manca. La Jugoslavia aveva anche il suo lato oscuro.
Quale è l’opinione dei Croati: possiamo riformare l’Europa? O è soltanto un progetto da abortire?
Possiamo riformare l’Europa. Anzi, dobbiamo farlo. Dipende da noi.
(fonte www.linkiesta.it 10 marzo 2013)