di Mauro Manzin
TRIESTE La dissoluzione della ex Jugoslavia è oramai finita? Niente affatto. Le velleità indipendentiste sembrano non finire mai. Ce l’ha fatta il Kosovo, con il grande e decisivo aiuto degli Stati Uniti, in Bosnia si torna a parlare della secessione dell’Erzegovina, un fatto quasi ciclico a ridoso di ogni appuntamento elettorale in Croazia. Ma stavolta gli ardori separatisti infiammano un altro pezzo di quella che fu la Jugoslavia di Tito. A soffiare sul fuoco dell’indipendenza è il Sangiaccato, una piccola regione a cavallo del confine tra Montenegro e Serbia. A Novi Pazar, infatti, è iniziata la campagna per l’autonomia del Sangiaccato. Lo scopo principale del neonato movimento indipendentista è quello di riuscire, in modo pacifico e democratico, a internazionalizzare il problema del Sangiaccato con l’instaurazione di un’entità autonoma transfrontaliera. Ma si sa, nei Balcani appena si parla di indipendentismo le mani scivolano inesorabilmente sui coltelli (per parafrasare Kerleza). Nel comunicato emesso dal movimento autonomista si legge tra l’altro che la questione del Sangiaccato è aperta da oramai un secolo, la regione in questione è storicamente indipendente, tale fin dalla sua nascita. Durante le guerre balcaniche del 1912, quando nell’area dominavano i turchi, il Sangiaccato era «illegalmente e contrariamente al volere internazionale – sostengono i fautori dell’autonomismo – occupato e diviso fra Serbia e Montenegro». Durante la Seconda guerra mondiale ottenne una sorta di status federale e poi fu nuovamente suddiviso ancora tra Serbia e Montenegro. Attualmente in Serbia ci sono sei comuni del Sangiaccato e in Montenegro cinque dove vivono in maggioranza musulmani o bozniacchi. Gli autori del progetto sono convinti che in base all’autonomismo geografico e anche perché in passato vi erano potentati turchi l’area può puntre all’indipendenza. Autori che scrivono altresì che nella loro terra sia musulmani che i bozniacchi sono soggetti alle più crude forme di discriminazione e vivono in condizioni economiche catastrofiche. Autori che sono sorpattutto giovani, nativi sì del sangiaccato ma che vivono o in Bosnia o in Kosovo, tutti bozniacchi o musulmani. Hanno l’appoggio anche del principale muftì della comunità islamica in Serbia, Muamer Zukorljic il quale è anche il vero e proprio ideologo dell’autonomismo. Durante la guerra del 1991-1995 è stato indetto anche un referendum sull’indipendenza che, ovviamente, ha stravinto. Al tempo fu promesso alla regione un status autonomo che oggi, i promotori dicono assolutamente attuabile pur nel rispetto dell’intangibilità dei confini di Serbia e Montenegro, «del resto in Europa – scrivono – ci sono molti esempi di autonomismo transnazionale». Il Montenegro considera comunque l’autonomia solo come il primo passo verso l’indipendenza e che i suoi fautori sono in preda a una sorta di “febbre da Kosovo”. A Podgorica sostengono altresì che intellettuali e politici sono contrari a un simile progetto, affermazioni alle quali gli autonomisti replicano sostenendo che chi è ostile al progetto non è nè musulmano nè bozniacco e che i politici sono asserviti a Djukanovic. Il nuovo vento, dunque, continua a soffiare e a destabilizzare Paesi come il Montenegro che già da qualche tempo guardano all’Unione europea.
(courtesy MLH)