di Aldo Viroli
Zara, italiana fino al 1947 quando per effetto del Trattato di pace di Parigi sarà assegnata all'allora Jugoslavia, per aver subito ben 54 bombardamenti alleati viene definita dal giornalista e scrittore Enzo Bettiza "la Dresda dell'Adriatico". Sono numerosi gli esuli zaratini che si sono stabiliti in Emilia-Romagna e non mancano gli emiliano-romagnoli che si trovavano nella martoriata città dalmata nel periodo immediatamente antecedente l'arrivo delle truppe del maresciallo Tito. Nel suo libro di memorie "Dal fronte jugoslavo alla Val d'Ossola", edito da Mursia, l'ex sindaco di Latina e parlamentare Ajmone Finestra, cita il console Pietro Montesi Righetti, comandante la 107a Legione CC. NN. Rismondo. Montesi Righetti, che apparteneva a una nobile famiglia romagnola, era nato a Savignano sul Rubicone il 22 settembre 1891. Il presidio di Zara, composto dai militari riuniti nei battaglioni Zara e Rismondo, nei volontari della seconda Compagnia arditi e della Vukasina, riceverà il preavviso da Montesi Righetti di prepararsi per trasferirsi a Trieste, dove sarebbe stato inserito in una nuova unità della Rsi. A fine 1943 avverrà l'imbarco sulla motonave Italia. Dopo aver lasciato la città dalmata, l'ufficiale romagnolo verrà poi trasferito da Trieste a Fiume, dove resterà dal marzo 1945 fino al 3 maggio al comando del Terzo reggimento GNR Milizia difesa territoriale. A Zara si trovava anche il giornalista emiliano Wolfango Rossani, testimone dell'attacco aereo subito dall'Elettra, il panfilo di Guglielmo Marconi.
Zara è stata recentemente al centro delle cronache per le vicende legate alla medaglia d'Oro al merito civile, concessa dall'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al Libero comune di Zara in esilio e mai consegnata per non turbare i rapporti con la Repubblica di Croazia. Negli ultimi mesi di vita di Zara italiana, era presente in città, al comando della 107a Legione CC. NN. "Francesco Rismondo", il console Pietro Montesi Righetti, ricordato oltre che da Ajmone Finestra anche dallo storico Nino Arena nel suo testo sulle forze armate della Repubblica sociale italiana, precisamente nel capitolo "Avvenimenti a Zara". Pietro Montesi Righetti, a volte indicato come Righetti Montesi, all'anagrafe di Savignano sul Rubicone risulta ingegnere meccanico, emigrato a Firenze nel 1915, tornato a Savignano il 23 luglio 1920 ed emigrato nuovamente a Firenze il 2 febbraio 1923. Ecco cosa scrive Ajmone Finestra nel suo libro "Dal fronte jugoslavo alla Val d'Ossola" a proposito di Montesi Righetti: "Verso la fine di settembre 1943 Vincenzo Serrentino (che verrà nominato prefetto il 2 novembre, ndr) con il parigrado Pietro Righetti Montesi, comandante della 107a Legione CC. NN., accompagnarono il tenente colonnello tedesco Von Schnehen, responsabile militare della piazza di Zara, nella scuola elementare di Borgo Erizzo, dove erano acquartierati gli arditi della seconda compagnia. Lo scopo dell'improvvisa ispezione era quello di valutare le condizioni morali e materiali degli arditi e la possibilità del loro impiego. Il reparto, schierato nel cortile della scuola, dal punto di vista delle forma e della disciplina, offrì l'impressione di un gruppo irregolare, simile a una compagnia di ventura. Nonostante ciò la volontà di combattere, l'entusiasmo e l'ottimo armamento impressionarono favorevolmente i tre ufficiali". Zara subirà il 2 novembre 1943 un terribile bombardamento, i giovani legionari si distingueranno nell'opera di soccorso alla popolazione, in particolare dei feriti e nel recupero dei cadaveri rimasti sepolti sotto le macerie degli edifici. I giovani della Compagnia "A. Vukasina" e gli arditi si erano anche impegnati nella sorveglianza dei quartieri sconvolti dai micidiali ordigni al fine di prevenire saccheggi sistematici ai danni di abitazioni e negozi da parte di sciacalli provenienti dalle isole e dalle campagne circostanti. Intanto i partigiani titini bivaccavano oltre il confine. "Si deve – continua nel suo libro Ajmone Finestra – al senso di responsabilità del prefetto Serrentino, di Righetti Montesi e del maggiore Tommaso David se nel territorio di Zara non si verificarono crudeli rappresaglie. Tutti i prigionieri catturati nelle azioni alle quali parteciparono le due compagnie di legionari furono trattati secondo le leggi di guerra". Poche settimane dopo, il console Montesi Righetti trasmetterà al comando della compagnia universitaria l'ordine di incassare le armi pesanti e di prepararsi a lasciare Zara con destinazione Trieste, per entrare a far parte di una nuova unità dell'esercito della Rsi in allestimento nel nord d'Italia. Così scrive Nino Arena: "mentre centinaia di volontari dalmati e zaratini, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore oppresso dalla commozione, salutarono per l'ultima volta la loro amata città così duramente colpita dal cielo dai 54 bombardamenti alleati, la Zara che non avrebbero visto mai più. E' presumibile che i bombardamenti siano stati provocati da informazioni, volutamente false, passate dai partigiani titini, che in tutti i modi volevano impossessarsi dell'ultimo baluardo italiano in Dalmazia. La furia delle bombe provocò la distruzione o comunque danni gravissimi all'85% delle abitazioni". I morti saranno circa 4000, molti non identificati perche' rimasti sotto gli edifici sinistrati. Per un breve periodo, dopo aver lasciato Zara, l'ufficiale romagnolo sarà a Fiume, dove resterà dal marzo 1945 fino al 3 maggio, vedendosi assegnare il comando del Terzo reggimento GNR Milizia difesa territoriale. Così risulta all'Istituto storico della Rsi. Pietro Montesi Righetti aveva preso parte alla Prima guerra mondiale. Arruolatosi volontario il 24 luglio 1915, era giunto in territorio dichiarato in stato di guerra il 23 luglio ed assegnato al 12° Reggimento di Artiglieria da campagna. Diventa sottotenente con anzianità 1 febbraio 1916 e nello stesso anno tenente con anzianità 30 novembre. Per i fatti avvenuti a Pecinka (Nona battaglia dell'Isonzo) nel novembre 1916 gli viene conferita la medaglia di Bronzo al Valor militare. Per i fatti di Costalunga (zona di Asiago), il 18 giugno 1918 viene promosso capitano. Racconta il figlio Tommaso, residente a Firenze, che nel 1917 il padre, comandante di un battaglione di cavalleria, causa il caldo, si era tolto l'elmetto; quell'imprudenza poteva costargli la vita. Una granata infatti gli porterà via una parte della calotta cranica; l'ufficiale verrà sottoposto a un delicato intervento chirurgico in un ospedale da campo allestito dietro alle linee, in cui gli verrà applicata una calotta di platino. Un intervento riuscito perfettamente tanto che Montesi Righetti non avrà più problemi. Al termine della "Grande guerra", lasciata Savignano si era trasferito a Firenze dove lavorerà alla Società elettrica Valdarno diventando capo del personale. Era una persona dal carattere brillante, una volta, trovandosi a sfilare davanti a Mussolini al comando di un gruppo di squadristi toscani, alla domanda del Duce che chiedeva quanti fossero quelli che avevano partecipato effettivamente alla marcia su Roma aveva risposto: "un 50%, una buona media". Nel 1935 ottiene il grado di maggiore e nel 1939 quello di tenente colonnello. La seconda guerra mondiale lo vede tra gli ultimi difensori di Zara italiana. La famiglia nel 1944 era rimasta senza sue notizie, comunicare con Zara allora era praticamente impossibile, tanto che lo avevano creduto morto. Nel maggio 1945, dopo la ritirata da Fiume caduta in mano jugoslava, aveva raggiunto prima Trieste poi Savignano, dove si era rifugiato per un breve periodo presso persone di fiducia. A Savignano, dove un vicolo del centro storico ricorda la nobile famiglia, Montesi Righetti si dedicherà per anni come bibliotecario alla Rubiconia Accademia dei Filopatridi. Per 48 anni è stato presidente della sezione di Savignano dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. E' morto a Milano il 29 gennaio 1969, la salma è stata tumulata nella tomba di famiglia al cimitero di Savignano. Ai funerali era presente il picchetto dell'8° Reggimento di Artiglieria di Rimini che ha reso gli onori. In quelle giornate drammatiche del 1944, era presente a Zara il giornalista emiliano Wolfango Rossani, all'anagrafe Sigfrido Rossi, nato a Guastalla nel 1909. Aveva svolto il praticantato presso il "Giornale di Dalmazia". Negli anni '30 aveva cominciato a collaborare alla Fiera letteraria e alla terza pagina di alcuni quotidiani con articoli legati alla sfera estetica, sulle orme della lezione impartita da Benedetto Croce. Attraverso Internet è possibile rintracciare diverse sue opere poste in vendita da qualificate librerie antiquarie. Numerosi i suoi scritti consultabili presso importanti biblioteche come quella dell'Università di Bologna. Tra i titoli "Il cinema e le sue forme espressive. Appunti di critica estetica" pubblicato nel 1940 a Fiume e stampato dalla tipografia della "Vedetta d'Italia", il giornale del capoluogo del Carnaro. Dal 1945 e fino al 1970 era stato redattore de "Il Resto del Carlino", dedicandosi in particolare alla critica letteraria. Negli ultimi anni aveva pubblicato alcune variazioni letterarie e il racconto autobiografico "Zara brucia". E' morto nel 2002. Il giorno 22 gennaio 1944, alle 13.15, l'Elettra, & celebre panfilo di Marconi, carico di tanta gloria, viene colpito ripetutamente da una formazione di caccia bombardieri e affondato nel vallone di Diclo, presso Zara. Questa la drammatica testimonianza di Wolfango Rossani, presente a Diclo, che racconta il bombardamento che causerà la fine dell'Elettra nel suo articolo pubblicato da "L'Osservatore Romano" del 18 luglio 1983: "Fui così in grado di assistere all'arrivo delle fortezze volanti americane e subito dopo ad una scena sconvolgente: dalle strade, dalle banchine, dalle case e dal mare che bagna Zara, si alzavano altissime colonne di fumo e di fuoco seguite da tremendi boati. La povera città era colpita a morte: sullo sfondo del cielo si veniva stagliando un pauroso scenario di fiamme. Un quadro apocalittico allucinante, di fronte al quale ebbi netta la sensazione che le nostre vite erano attaccate ad un filo e che il nostro destino si presentava terribile. Ho potuto assistere alla lenta ed atroce agonia dell'antica e gloriosa città dalmata (Zara) che diventò una sorta di bersaglio dell'aviazione inglese e americana. Nel corso di poche settimane Zara subì un tragico destino: il suo porto, le sue banchine di marmo bianco, le sue strade, le sue caratteristiche collette, le sue piazze di struttura veneziana, le sue bellissime chiese romaniche e le sue colorite abitazioni furono spezzate, sgretolate, smozzicate e, per dirla con un famoso verso carducciano "parean fil di scheletri in cimitero". Tornando alle vicende dell'Elettra, il 12 agosto 1930, in seguito ad un incendio scoppiato a bordo, il panfilo era rimasto bloccato nel porto di Civitavecchia. I danni non erano risultati particolarmente ingenti grazie all'intervento dell'equipaggio della nave di linea De Fenu. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'Elettra venne ormeggiata nel porto di Trieste e dopo l'8 settembre requisita dai militari tedeschi che la trasformarono in nave ausiliaria. Per fortuna alcuni previdenti italiani riuscirono per tempo a recuperare gli apparecchi dello scienziato che, assieme ad altri cimeli, vennero dati in custodia al Museo del Mare di Trieste. Ma le disavventure dell'Elettra erano appena all'inizio. Durante una missione in Adriatico la nave verrà colpita dagli Alleati al largo di Zara e quattro anni dopo il Governo italiano ne chiederà la restituzione alla Jugoslavia. Riconsegnato finalmente all'Italia nel 1960, il relitto venne rimorchiato nel porto di Trieste, all'interno del cantiere navale San Rocco di Muggia e, in epoca successiva, "posteggiato" all'Arsenale di Venezia in attesa di un ripristino mai avvenuto, tanto che nel 1977 verrà "tagliato" in più parti e i resti collocati in diverse città italiane. Era stato l'allora ministro Vittorino Colombo ad autorizzarne lo smembramento. Per quanto riguarda l'Emilia-Romagna, a Pontecchio Marconi-Villa Griffone, sede della Fondazione Marconi, è stata collocata la sezione trasversale con 6 ordinate.
(courtesy MLH)