L’ultima giornata della terza edizione della Scuola Estiva per docenti sulla didattica della frontiera adriatica organizzata dal Tavolo di Lavoro Ministero dell’Istruzione e del Merito – Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati, ha affrontato l’argomento dell’Esodo.
Dopo l’introduzione di Matteo Carnieletto, firma de Il Giornale, i docenti selezionati per questa edizione sono stati proiettati nell’atmosfera del Magazzino 18 dall’appassionato intervento di Piero Delbello, direttore dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata e vero e proprio artefice del salvataggio delle masserizie accatastate nel celebre edificio del Porto Vecchio di Trieste. I mobili, gli oggetti di uso quotidiano, i quadri e le stoviglie che adesso hanno ricevuto una sistemazione museale adeguata nel limitrofo Magazzino 26 rimandano a una storia tragica. Una storia che inizia in un mondo che crolla sotto i colpi della dittatura comunista di Tito e trascina decine di migliaia di istriani, fiumani e dalmati nello squallore dei Centri Raccolta Profughi. Chi viveva sulle rive dell’Adriatico orientale, ora è costretto in un vecchio Silos, chi aveva una casa di famiglia adesso sta in un box le cui pareti sono fatte con coperte appese a dei fili. C’è chi dice no a tutto questo ed emigra oltre oceano e chi rimane intrappolato nello sventagliamento in oltre 100 località che in tutta Italia ospiteranno CRP.
Quando se ne sono andati dalle terre in cui vivevano da generazioni, istriani, fiumani e dalmati hanno portato con sé mobili e altri oggetti domestici con i quali costruire una nuova vita, ma nei Campi Profughi non c’era posto e così è rimasto tutto affastellato in enormi depositi. Pian piano il Magazzino 18 diventa il deposito dei depositi in cui affluiscono pure i mobili e gli oggetti di chi muore da solo o emigra o riceve una casa popolare troppo piccola per quell’arredamento. Qualcuno ogni tanto viene a reclamare i propri mobili, ma l’ultimo appello ai legittimi proprietari nel 1978 va deserto e così il Magazzino 18 diventa «la testimonianza dello svuotamento di un popolo e di intere città come Pola, ove la strage di Vergarolla ha avuto un effetto devastante, al culmine di mesi di paura, intimidazione, violenza e morte» . Il Memorandum di Londra del 1954 consentirà il ritorno dell’Italia a Trieste, ma consoliderà il controllo della Jugoslavia sulla Zona B, da cui ci sarà un’altra ondata dell’Esodo, ancora Campi Profughi, ancora beni abbandonati «o per meglio dire rubati e mai correttamente indennizzati». Ancora Delbello: «La vita nei CRP significò disadattamento, molti finirono in manicomio, tanti si suicidarono. Certo, molti esuli hanno successo nella vita e nella professione, ma tanti altri si perdono nell’alcolismo. C’è anche un problema identitario: gli esuli di seconda generazione sono nati in tutta Italia ma l’origine è un’altra, l’Istria, che diventa l’eldorado nei ricordi di famiglia, se se ne parla, perché tanti scelgono il silenzio anche nell’ambito famgilaire. Il Magazzino 18 è la Pompei degli esuli, un mondo cristallizzato, idealizzato, abbandonato e perduto»
Sull’arcipelago dei luoghi dell’Esodo si è quindi soffermato Enrico Miletto (Università di Torino), il quale ha prima di tutto ricordato che il governo italiano inizialmente fece di tutto per frenare l’emorragia di italiani dalle terre cedute alla Jugoslavia, ma alla fine dovette prenderne atto e attrezzarsi per gestire questa emergenza umanitaria. L’82% dei profughi trovò sistemazione in Italia settentrionale, il 10% al centro e l’8% al sud e nelle isole, inizialmente sotto la responsabilità del Ministero dell’Assistenza Postbellica e poi del Ministero degli Interni. Il Silos di Trieste e l’Arsenale di Venezia furono i punti nevralgici dell’accoglienza dei profughi, per poi solitamente passare al centro di smistamento di Udine, per il quale transitarono in 100.000, ricevendo poi una destinazione in base alle disponibilità del momento. «A questo punto legami famigliari e di amicizia si spezzano – spiega Miletto – a causa dello sparpagliamento in tutta Italia. La successiva precarietà della vita nei Campi Profughi emerge non solo nelle testimonianze, ma anche nelle indagini prefettizie o in alcune inchieste giornalistiche. Si creano dei microcosmi, una sorta di città nella città, in cui si consuma l’annullamento della personalità umana: un’esperienza traumatica soprattutto per gli anziani»
È stata quindi svolta una rapida presentazione di alcuni di questi luoghi d’esilio, a partire dal Piemonte con le Casermette di Torino, la caserma Passalacqua di Tortona e la caserma Perrone di Novara, per giungere al ripopolamento della città di fondazione di Fertilia in Sardegna, passando per il Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma sorto ove c’era il villaggio operaio dell’Eur 42 e per il Villaggio San Marco allestito presso l’ex campo di prigionia di Fossoli. «L’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati agevolò alcune migliaia di esuli nell’emigrazione in America ed Australia e nel 1952 finalmente la legge Scelba prese in considerazione le esigenze lavorative ed abitative degli esuli. Furono introdotte quote di assunzioni e di assegnazioni di edilizia popolare fino a giungere alla realizzazione in 40 città di borghi dedicati esclusivamente agli esuli e pensati per essere autosufficienti»
Il professor Gianni Spinelli ha quindi presentato un focus su Brescia, una relazione da contestualizzare nell’ambito del progetto Bergamo Brescia città dell’accoglienza dell’esodo. Luoghi, storie, MEMORIA e memorie presentato dal Comitato provinciale di Bergamo e dalla Delegazione bresciana dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia nel panorama di iniziative per Bergamo Brescia Capitale italiana della cultura 2023. Già nel maggio 1945 la caserma Goito fu convertita a campo profughi e sfollati, diventando ben presto un punto di riferimento per i primi fuggitivi dalle province italiane sotto controllo jugoslavo. Immagini fornite da Laura Busecchian, delegata Anvgd, hanno consentito di vedere non solo scene di quotidianità ma anche la visita del Vescovo di Pola Radossi in questo CRP in cui aveva sede anche il Comitato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Zara (nome originario dell’Anvgd): «La capienza ottimale era di 400 persone – ha spiegato Spinelli – ma spesso ve ne sono state più di 500. Per contribuire a fronteggiare l’enorme afflusso di esuli da Pola, vennero perciò aperti alcuni distaccamenti del campo principale. Villa Maria a Fasano sul lago di Garda fu inizialmente molto confortevole ma ben presto si congestionò, l’hotel Bogliaco accolse anche alluvionati del Polesine ma gli istriani di entrambe le strutture sarebbero poi confluiti nella caserma Eugenio di Savoia a Chiari. Una caserma di Gargnano fu pensata per accogliere profughi anziani o inabili al lavoro, ma ben presto dette ospitalità soprattutto a profughi provenienti dalla Zona B del Territorio Libero di Trieste»
In anticipo sui tempi della legge Scelba, Brescia ebbe il suo quartiere destinato agli esuli grazie agli sforzi di Antonio Cepich (Presidente del comitato Anvgd), del giornalista Antonio Cattalini e di Antonio Filippini: l’omonimia dei tre promotori portò all’intitolazione a Sant’Antonio. Da ciò conseguì una raccolta fondi che cercò di coinvolgere grandi personalità di nome Antonio e che a Trieste fu recepita dal Vescovo Antonio Santin, che riuscì a raccogliere significativi finanziamenti, mentre la città di Sant’Antonio nel Texas si propose di fare da madrina. Dopo l’inaugurazione ufficiale del 16 giugno 1952, il decoro del quartiere fu abbellito traslando un leone marciano che si trovava su un palazzo pubblico del centro cittadino; grazie alla legge Scelba sarebbe stato poi realizzato il quartiere San Bartolomeo che accolse 620 persone. «Il Santuario di Santa Maria del Carmine avrebbe accolto tutte le cerimonie religiose della comunità esule – ha proseguito Spinelli – i cui cardini furono religiosità e amor di Patria declinato secondo un irredentismo democratico. A testimonianza del perfetto inserimento nel tessuto sociale bresciano, all’indomani della strage di Piazza della Loggia (in cui rimasero feriti due esuli) il comitato Anvgd emise un comunicato di solidarietà in cui, avendo sperimentato l’orrore dei totalitarismi, esprimeva auspici per la crescita democratica»
Hanno quindi avuto luogo la presentazione dei lavori realizzati dai docenti durante i laboratori didattici svolti nei precedenti pomeriggi dopo le intense mattinate di lezione e la consegna degli attestati ai partecipanti a questa densa settimana di scuola estiva che ha avuto nella dottoressa Caterina Spezzano, ispettrice del Ministero dell’Istruzione e del Merito, e nella professoressa Maria Elena Depetroni (delegata per la scuola dell’Esecutivo nazionale dell’Anvgd) le principali organizzatrici e promotrici.
Lorenzo Salimbeni