ANVGD_cover-post-no-img

Unità d’Italia: la lezione slovena (Il Piccolo 20 feb)

TRIESTE Mentre non molto lontano da noi il presidente della provincia di Bolzano Durnwalder fa sapere all’Italia che gli altoatesini non hanno un bel nulla da festeggiare sentendosi tedeschi, e ostenta una sfacciata ingenerosità verso il Paese che ha nutrito e pasciuto la sua specialissima autonomia, la comunità slovena della Venezia Giulia assume tutt’altro tono e sostanza: partecipiamo ai festeggiamenti, dice, in segno di rispetto e coesione per il Paese in cui viviamo.

Una banalità? Mica tanto. E’ invece un gesto di civiltà che induce a due distinte riflessioni: su quanto siano cambiati i tempi e il clima nella città simbolo delle pulsioni nazionali, e su quanto le polemiche sull’anniversario, ben più diffuse rispetto al caso altoatesino e sottilmente fiancheggiate dalla Lega, riflettano in realtà una concezione distorta dell’identità culturale.

Quanto al primo punto, c’è da chiedersi se un’espressione di riconoscimento nazionale da parte della minoranza slovena sarebbe stata così piena e corale anche solo cinque anni fa, o se invece l’anniversario non avrebbe innescato il rincorrersi di posizioni di bandiera da una parte e dall’altra. Propendiamo per la seconda ipotesi. E il fatto che il gioco al rialzo delle affermazioni identitarie non sia nemmeno partito, illumina il salto di qualità che Trieste ha fatto nella riconsiderazione del proprio passato e presente. E’ stato (e ha da essere ancora) un percorso tortuoso e talvolta più retorico che reale, ma che nel tempo ha formato basi solide e modellato simboli grandi e piccoli, dalla caduta dei confini al concerto di Muti con i capi di Stato la scorsa estate; un percorso a cui hanno partecipato tutte le componenti cittadine, e che ha avuto nel sindaco Dipiazza un ruolo di catalizzatore di particolare merito, per l’aver traghettato il centrodestra verso un concetto moderno e non “difensivo” di nazione.
Il che non comporta, non ci stancheremo di ripeterlo, un’inaccettabile e surreale parificazione di memorie, bensì la fondamentale accettazione della legittimità culturale della memoria dell’altro.

Ma c’è di più. Se, come auspichiamo, i sindaci dei Comuni a maggioranza slovena parteciperanno con la fascia tricolore alle celebrazioni del 17 marzo, la solennità della presenza sarà d’insegnamento al Paese intero. Essa ci dirà infatti che il senso di appartenenza della persona alle comunità in cui vive e si esprime non è una scelta tra opzioni alternative, questo o quello, bensì una felice stratificazione di sfaccettature inclusive, questo e quello. Siamo servolani e triestini e friulgiuliani, e così italiani ed europei e cittadini del mondo. Parliamo in dialetto con la vicina e auspicabilmente in inglese con lo scienziato del Centro di fisica che attende l’autobus, senza che l’una o l’altra di queste identità intacchino la pienezza di ciascuna, ma contribuendo anzi ognuna a formare la pienezza irripetibile, l’universalità specifica di ogni persona nella sua interezza. E così quei sindaci saranno sloveni e italiani, senza che alcuno possa sentirsi in diritto di chiederne loro ragione; porteranno il tricolore e il tiglio biancorossoblù, che in altre circostanze esibiranno senza pena d’incoerenza.

Se riconoscessimo questa naturale articolazione della persona nel tricolore e nel carroccio leghista, nelle due Sicilie e nelle effigi sudtirolesi care a Durnwalder (ma non ai nordtirolesi, pare), sfumerebbero d’incanto le ridicole, squallide polemiche sul grado di festività che dovrebbe avere il 17 marzo: lo abbia pieno e per tutti, senza distinzioni. Non giungiamo a dire – non siamo così ingenui – che ciò restituirebbe a noi italiani un briciolo dello spirito civico e dell’orgoglio nazionale che abbiamo perduto, o forse mai abbiamo avuto. Ma almeno eviteremmo di affogare in quel senso di smarrimento identitario, di nullità culturale e di privazione di radici e di tessuto sociale, che con angoscia crescente ci pervade.

Roberto Morelli

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.